23 febbraio 2011

Caravaggio, la vita è un romanzo

Dell’artista riscoperto un secolo fa si sa per paradosso meno oggi che nel recente passato. Una mostra con documenti e opere conferma le molte incertezze sulla sua nascita e sulla sua morte
di Maurizio Cecchetti
La sintesi del problema è tutta in queste parole di Alvar González-Palacios del 1988: «La storia dell’arte è noiosa. Deve per forza esserlo in quanto, se cor­retta e veritiera, essa si deve basare sulla disamina accurata e l’esposi­zione lucida e organizzata di fatti precisi. Questi fatti sono il frutto di ricerche di documenti e di carte che consentano di stabilire con si­curezza il susseguirsi di avveni­menti storici, la gestazione, la committenza o la provenienza delle opere. Chiarire tutto ciò può essere avvincente ma questo resoconto, che deve appoggiarsi in modo ordinato a precisi dati, non sarà mai divertente, nemmeno nelle mani di uno scrittore di ta­lento. Non la storia dell’arte dun­que ma piuttosto la critica d’arte può - talvolta - essere di gradevole lettura. Gli italiani amano la bel­lezza e il piacere ed è questa la principale ragione per cui la criti­ca d’arte non è sempre attendibile nella nostra penisola». Punto e a capo. La storia dell’arte non deve essere romanzo, ma narrazione di fatti certi e attendibili. La critica d’arte può essere romanzo, ma sempre sulla base di fatti certi e at­tendibili, e può dare spazio al «pa­radigma indiziario» come piace a Carlo Ginzburg. La storia del caso Caravaggio è tutta compresa tra queste due scelte disciplinari, ma il dato comune non cambia: docu­menti certi e attendibili (ma fra questi ci sono anche o soprattutto i quadri, non dimentichiamolo). È su questo postulato che muove la mostra di quadri e documenti Ca­ravaggio a Roma. Una vita dal ve­ro (da una idea di Eugenio Lo Sar­do, a cura di Michele De Sivo e O­rietta Verdi, catalogo De Luca).
González-Palacios ricordava an­che la battuta sprezzante di Ber­nard Berenson: «Povero ragazzo, egli crede ai documenti» e notava che il giovane Longhi non era cer­to di avviso diverso, anzi: a propo­sito di Mattia Preti, nel 1913 Lon­ghi in Critica figurativa pura chiu­deva così: «Ora, un po’ di biografia di cronologia di documenti. Nac­que nel 1613, morì nel 1699». Alla fine, Berenson e Longhi predicava­no male ma razzolavano bene. E i discepoli? González-Palacios fu a­mico di due storici-critici d’arte della generazione successiva a quella di Longhi: Testori e Zeri. Di Testori seguì, come editor, la pub­blicazione da Feltrinelli del Gran teatro montano dove l’intreccio fra dati storici e critica d’impronta e­vocativa si fondono come nes­sun’altro è riuscito a fare nel Nove­cento; Zeri grande scrittore non fu mai, e ne era cosciente, perché, in fondo, era più interessato a collo­care un’opera o un fatto dentro un’epoca o in una vicenda artistica ben precisa (con affondi nella sto­ria materiale e uno sguardo sull’o­pera in quanto documento storico più che per l’eccellenza estetica).
Questa premessa per dire che su Caravaggio si è romanzato molto forse perché i documenti e i fatti certi scarseggiavano e a distanza di un secolo dalla sua riscoperta (il primo volume su Caravaggio di Lionello Venturi è del 1910 e la tesi di laurea di Longhi data 1911), si brancola nel buio per quanto ri­guarda gli anni giovanili in Lom­bardia (il cui contesto-regesto do­cumentario è stato ricostruito con meticolosa cura da Giacomo Berra in un volume nel 2005), mentre la miriade di piccole informazioni e­merse negli ultimi due decenni dagli archivi lombardi e romani, danno un consuntivo delineato la­conicamente da Calvesi in apertu­ra del catalogo: «Michelangelo Me­risi da Caravaggio: nato a Milano (e non a Caravaggio) il 29 settem­bre 1571 e morto a Port’Ercole nel luglio 1610, in ospedale e non erra­bondo sul litorale (come un altro recente documento avrebbe rive­lato, smentendo il perfido Baglio­ne: 'Morì malamente come mala­mente havea vivuto')». In fondo, questi sono attualmente i dati più certi della biografia di Caravaggio: i documenti che vengono presen­tati in questa mostra romana, ag­giungono alcune informazioni che autorizzano ipotesi tutte da svi­luppare o verificare: Caravaggio parlava 'alla lombarda', inoltre il suo arrivo a Roma andrebbe spo­stato in avanti di due o tre anni, verso il 1595, il che solleva doman­de su quel breve lasso di tempo: viaggiò fuo­ri della Lombardia?
Dove, a Venezia per e­sempio? Mi è sempre sembrato incredibile che un artista che dipingeva quasi senza studi grafici, se non alcune linee guida tracciate sull’imprimi­tura ancora fresca, non avesse mai senti­to il desiderio di recar­si sul luogo dove per oltre un secolo si era dipinto nel modo per lui forse più intrigan­te, almeno dopo il ca­rico di esperienze a­vute in lombardia. I documenti dell’Archi­vio di Stato aprono al­tre piccole finestre, ma quel che si deve notare è il cambio di prospettiva avvenuto nella conoscenza di Caravaggio. Con Venturi, Longhi, Berenson, Berne-Joffroy, Bologna si cercavano nei documenti con­ferme a ipotesi critiche nate sull’a­nalisi dei quadri, talvolta azzar­dando attribuzioni poi cadute. Do­po le ricerche della Cinotti, dopo le analisi iconologiche e le induzioni storiche di Calvesi, la ricerca su Caravaggio si è mossa con attribu­zioni spesso avventate (a comin­ciare dal Cavadenti) o, viceversa, bramando il documento che con­fermi o smentisca in modo netto il ritratto che finora ne abbiamo, mentre non sono emerse nuove interpretazioni critiche fondate sull’analisi dello stile e sul con­fronto con il contesto pittorico nel quale lavorò (come mai, per esem­pio, non sentì mai il bisogno di ri­tornare al Nord, ma viaggiò sem­pre su rotte meridionali e mediterranee?). Una cosa è certa e in qual­che modo anche sconfortante: i 'quesiti caravaggeschi' che Clau­dio Strinati enumera nel lungo saggio in catalogo possono spin­gere a dire che, in fondo, un secolo dopo la riscoperta di Caravaggio, la sua opera e la sua figura ci sono meno chiari oggi di quanto non fosse anche solo venti o trent’anni fa. E questo proprio perché i docu­menti più che chiarire sollevano nuovi dubbi sulla sua biografia e sulla sua personalità. Credo che la sentenza più giusta oggi sia dello stesso Strinati, quando scrive «nel caso di Caravaggio chi non si a­spetta l’inaspettato non scoprirà mai la verità». Che potrebbe anche voler dire: chi non segue sentieri non programmati di ricerca non arriverà mai a un ritratto credibile di lui e della sua pittura.

Roma, Archivio di Stato, CARAVAGGIO A ROMA (fino al 15 maggio)
«Avvenire» del 22 febbraio 2011

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