Spopolano su internet i blog che invitano a correggere gli strafalcioni linguistici. Eppure la lingua non è un corpo morto, bensì vivace e in continua evoluzione come spiega anche la professoressa Littizzetto in «Fuori classe»
di Pier Francesco Borgia
In una delle prime puntate di «Fuori classe», l'ultima fiction Rai dedicata al mondo della scuola, la professoressa Littizzetto si trova a spiegare le origini della nostra lingua a una classe di ragazzi del fittizio liceo Caravaggio di Torino. Durante la spiegazione legge il cosiddetto «Placito cassinese». Si tratta di un documento notarile vergato nel 960 d. C. e considerato il primo testo in volgare. Cioè in quella che, grazie al supporto di personaggi del calibro di Boccaccio, Dante e Ariosto, diventerà col tempo la lingua italiana.
La professoressa Littizzetto ha buon gioco nel dimostrare che quel breve testo ha molte analogie con gli sms che i suoi studenti si passano di continuo. Un esempio? Eccolo: «Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti». Questo il testo per intero del Placito cassinese. L'uso della «k» al posto della «c» o meglio del gruppo latino «qu» è quanto mai affine alle abbreviazioni digitate sui telefonini cellulari. Eppure quel breve testo è ancora materia di studio e tutti i laureandi in Lettere lo conoscono a memoria. Perché ha una sua importanza storica e documentale indiscutibile.
Ora alcuni giovani appartenenti a questa classe professionale (vale a dire professori, ricercatori e dottorandi) hanno deciso di ergersi a paladini della nostra lingua in quel campo dove - secondo loro - aumentano in maniera esponenziale i rischi di un imbarbarimento della nostra comunicazione linguistica. Operano su Facebook, Twitter e Msn e si fanno chiamare «I giusti della lingua italiana». Si nascondono dietro nomi fittizi perché - sostengono - non vogliono farsi prendere da manie di protagonismo. E girano sulle bacheche dei social network a correggere i testi degli amici (e degli amici degli amici).
«Se siamo arrivati sulla tua bacheca è segno che devi iniziare a preoccuparti di come scrivi». Questo l'inquietante messaggio che lasciano a chi in tutta spensieratezza aveva digitato con grossolana imprecisione i suoi pensieri internettiani. E poi ti indirizzano anche a una pagina di Fecebook quasi fosse una sorta di scuola per il recupero degli anni perduti. Si chiama «Il congiuntivo non è una malattia degli occhi». Piace ad oltre 100mila iscritti al social network. Qui - per il divertimento generale (e un po' snob, a dire il vero) - vengono raccolte le topiche lette in giro. Tra le ultime segnalazioni anche un articolo di «Repubblica» dove l'incauto redattore scrive «più presto» al posto di «prima».
Forse questa ondata di «buone intenzioni» e di volontariato culturale andrebbe salutato con tante salve di giubilo. Eppure c'è qualcosa che non convince.
Perché, ad esempio, prendersela con chi scrive «xké» al posto di un più appropriato «perché»? In fin dei conti la fonetica è una convenzione. Si cercano segni grafici che corrispondano nel migliore dei modi (spesso nei più comodi e veloci) ai suoni del parlato. Se il notaio beneventano che ha redatto il «Placito cassinese» entra, inconsapevolmente, nella nostra storia letteraria, perché questi ragazzi dovrebbero essere additati come i nuovi barbari?
Colpisce in questo dibattito il silenzio non solo degli storici della lingua ma anche dei linguisti che potrebbero dare un colpo mortale a questa ondata di snobismo mid-cult. La lingua è corpo vivo e vivace. Le regole della grammatica, inoltre, non sono state scritte a priori. Bensì sono il risultato di un'analisi descrittiva e comparativa di usi diversi e difformi. Lo scopo? Cercare una comprensione più efficace tra chi si esprime in modi differenti. Non è però un decalogo imperativo. Quindi perché lamentarsi di un uso troppo frequente delle «D» eufoniche? Perché sottolineare con divertito cinismo gli strafalcioni altrui? Non sarebbe meglio, invece, mettersi all'ascolto del prossimo senza tanti snobismi e pregiudizi? Senza se e senza ma (e con tante k al posto giusto).
La professoressa Littizzetto ha buon gioco nel dimostrare che quel breve testo ha molte analogie con gli sms che i suoi studenti si passano di continuo. Un esempio? Eccolo: «Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti». Questo il testo per intero del Placito cassinese. L'uso della «k» al posto della «c» o meglio del gruppo latino «qu» è quanto mai affine alle abbreviazioni digitate sui telefonini cellulari. Eppure quel breve testo è ancora materia di studio e tutti i laureandi in Lettere lo conoscono a memoria. Perché ha una sua importanza storica e documentale indiscutibile.
Ora alcuni giovani appartenenti a questa classe professionale (vale a dire professori, ricercatori e dottorandi) hanno deciso di ergersi a paladini della nostra lingua in quel campo dove - secondo loro - aumentano in maniera esponenziale i rischi di un imbarbarimento della nostra comunicazione linguistica. Operano su Facebook, Twitter e Msn e si fanno chiamare «I giusti della lingua italiana». Si nascondono dietro nomi fittizi perché - sostengono - non vogliono farsi prendere da manie di protagonismo. E girano sulle bacheche dei social network a correggere i testi degli amici (e degli amici degli amici).
«Se siamo arrivati sulla tua bacheca è segno che devi iniziare a preoccuparti di come scrivi». Questo l'inquietante messaggio che lasciano a chi in tutta spensieratezza aveva digitato con grossolana imprecisione i suoi pensieri internettiani. E poi ti indirizzano anche a una pagina di Fecebook quasi fosse una sorta di scuola per il recupero degli anni perduti. Si chiama «Il congiuntivo non è una malattia degli occhi». Piace ad oltre 100mila iscritti al social network. Qui - per il divertimento generale (e un po' snob, a dire il vero) - vengono raccolte le topiche lette in giro. Tra le ultime segnalazioni anche un articolo di «Repubblica» dove l'incauto redattore scrive «più presto» al posto di «prima».
Forse questa ondata di «buone intenzioni» e di volontariato culturale andrebbe salutato con tante salve di giubilo. Eppure c'è qualcosa che non convince.
Perché, ad esempio, prendersela con chi scrive «xké» al posto di un più appropriato «perché»? In fin dei conti la fonetica è una convenzione. Si cercano segni grafici che corrispondano nel migliore dei modi (spesso nei più comodi e veloci) ai suoni del parlato. Se il notaio beneventano che ha redatto il «Placito cassinese» entra, inconsapevolmente, nella nostra storia letteraria, perché questi ragazzi dovrebbero essere additati come i nuovi barbari?
Colpisce in questo dibattito il silenzio non solo degli storici della lingua ma anche dei linguisti che potrebbero dare un colpo mortale a questa ondata di snobismo mid-cult. La lingua è corpo vivo e vivace. Le regole della grammatica, inoltre, non sono state scritte a priori. Bensì sono il risultato di un'analisi descrittiva e comparativa di usi diversi e difformi. Lo scopo? Cercare una comprensione più efficace tra chi si esprime in modi differenti. Non è però un decalogo imperativo. Quindi perché lamentarsi di un uso troppo frequente delle «D» eufoniche? Perché sottolineare con divertito cinismo gli strafalcioni altrui? Non sarebbe meglio, invece, mettersi all'ascolto del prossimo senza tanti snobismi e pregiudizi? Senza se e senza ma (e con tante k al posto giusto).
«Il Giornale» del 1 febbraio 2011
Ma questi "giusti della lingua" hanno mai studiato la storia della lingua italiana? I linguisti tacciono perché sanno che queste "missioni" hanno vita effimera. E la storia ce lo dimostra:
RispondiEliminaAppendix Probi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
L'Appendix Probi è un documento del 700 d.C. scritto a Bobbio e ora conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli. È un elenco di 227 parole o forme o grafie non corrispondenti alla buona norma. Pur essendo il documento del 700 d.C. si reputa che la lista delle parole risalga al V secolo (ulteriori studi hanno aggiornato la datazione). Un maestro di questo periodo avrebbe raccolto le forme errate in uso presso i suoi allievi affiancandole alle corrette, secondo la formula "x non y".
Esempi:
* speculum non speclum
* vetulus non veclus
* columna non colomna
* frigida non fricda
* turma non torma
* solea non solia
* auris non oricla
* oculus non oclus
* viridis non virdis
* calida non calda
In questi errori commessi dagli studenti è possibile intravvedere gli sviluppi fonetici che portarono dal latino alle attuali lingue neolatine.
Osservazioni linguistiche [modifica]
* Sincope, caduta di una vocale o di una sillaba all'interno della parola:
o VIRIDEM > it. verde, fr. vert, sp. verde
* Apocope, caduta di una vocale o di una sillaba alla fine della parola:
o CIVITATEM > it. città, fr. cité, sp. ciudad
* Aferesi, caduta di una vocale o di una sillaba all'inizio della parola:
o HISTORIAM > it. storia
* Monottongamento (monottongazione), processo per cui un dittongo si muta in vocale:
o CAUSA > it. cosa, sp. cosa, fr. chose
* Dittongamento (dittongazione), processo per cui una vocale si muta in dittongo (può essere spontaneo o condizionato):
o PEDEM > it. piede, fr. pied, sp. pié
* Assimilazione, riguarda suoni vocalici e consonantici e consiste nell'avvicinamento di due suoni dal punto di vista articolatorio (progressiva o regressiva):
o FACTUM > it. fatto (ass. regressiva: CT > TT)
o QUANDO > dial. it. centro-mer. quanno (ass. progressiva: ND > NN)
* Dissimilazione, fenomeno contrario al precedente:
o VICINUM > sp. vecino (dissimilazione), ma it. vicino (senza dissimilazione)
Luciana