04 gennaio 2011

Se i lavoratori sono meglio del sindacato

di Paolo Del Debbio
Quando alle elezioni vince il centrodestra sono gli elettori che hanno sbagliato. Se gli operai di Mirafiori e Po­migliano firmano un accor­do con la Fiat e la Fiom deci­de di non firmare, per paro­la dei dirigenti della Fiom stessa siamo di fronte a un «attacco alla democrazia». Mettiamo insieme questi due fatti perché insieme de­vono stare. Alla loro radice c’è lo stesso vizio italiano per il quale c’è sempre una minoranza illuminata che sa qual è la verità da credere e il giusto da compiere e, dal­l’altra parte, il popolo che, quando non fa ciò che dice loro, sbaglia. E sbagliando fa del male alla democrazia. Ieri il Giornale ha pubbli­cato una lettera firmata da operai che hanno sottoscrit­to l’accordo con la Fiat. La lettera, lo ricordiamo, era in­dirizzata a Pier Luigi Bersa­ni, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Tra l’altro scrive­vano: «Noi che abbiamo vo­tato sì a quell’accordo ci sia­mo stancati di continue di­chiarazioni tese a sostenere chi non aveva valide alterna­tive da proporci», cioè la Fiom, sostenuta dal Pd, dal­l’Idv e dal partito del gover­natore della Puglia. I l contenuto della lettera de­gli operai è riassumibile in po­che parole. Ci siamo trovati di fronte a d una proposta, non è l a migliore delle proposte pos­sibili, altre realistiche non ne sono state fatte da nessuno: né dalla Fiom, né dai tre parti­ti che la Fiom sostengono. In sostanza, gli operai Fiat richia­mano alla realtà. Non si tratta di rassegnazione (almeno co­sì l’abbiamo letta noi), ma di realismo, della presa d’atto che la realtà industriale sta cambiando e che si può discu­tere ma non dicendo solo «no». In altre parole ancora, hanno guardato alle cose così come stanno, togliendosi gli occhiali di un sindacalismo ammuffito e guardando con gli occhi, magari non conten­ti, di chi conosce la realtà del­la fabbrica e del mercato del­l’auto. Dicevamo prima che l’allar­me della Fiom, «attacco alla democrazia», è una vecchia storia. In Italia abbiamo avu­to prima il fascismo, dove uno poteva pensare per tutti, poi abbiamo avuto il comunismo di Antonio Gramsci, quello dell’egemonia culturale, che aveva capito perfettamente come la realtà possa essere stracciata a proprio piacimen­to quando si ha la cultura nel­le proprie mani e si distribui­scono in abbondanza occhiali per farla vedere non quale è, ma quale si decide che sia. Il sindacato Fiom non si disco­sta da questa visione. Certo, a loro brucia il fatto che l’accordo aziendale della Fiat non permetta più alle organizza­zioni sindacali che non firmano il contratto aziendale di far parte della rappresentanza aziendale sindacale purché, come era fino ad oggi, raccol­gano almeno il 5 per cento di firme tra i lavoratori del­l’azienda. Ora chi non firma sta fuori. Chi firma sta dentro. Brucia anche il fatto che la po­litica dei redditi, dopo la fir­ma di questo contratto, sarà materia legata alla produttivi­tà dell’azienda e dunque ri­guarderà i lavoratori, la diri­genza e gli investitori, e non il sindacato a livello nazionale. Perdere il potere brucia a chiunque. Lo capiamo. Se poi questo potere è difeso dall’intellighenzia dominante nel Paese, allora brucia anche di più perché si rompe quel cir­colo fra potere e lettura defor­mata della realtà che poteva mettere in scacco il popolo, nel contesto politico, e gli ope­rai, nel contesto del mercato. Questo accordo della Fiat rompe questo circolo. Non c’è solo del buono in questo accordo, ma la lettura che ne va fatta è storica, cioè legata a ciò che significa questo ac­cordo e non solo a ciò che in esso è scritto e che sarà migliorabile.
«Il Giornale» del 30 dicembre 2010

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