22 gennaio 2011

Hitler e Stalin, nemici o alleati?

di Edoardo Castagna
Se non esistono storie definitive – sempre la storiografia è in movimento, grazie a nuovi do­cumenti o anche solo a nuove inter­pretazioni di quelli vecchi –, almeno di tanto in tanto vengono segnate tappe stabili, momenti di sintesi dai quali poi in futuro la ricerca tornerà a ripartire. Quella proposta dal britannico Chris Bellamy è una di que­ste tappe, perché raccoglie, siste­matizza, bilancia, analizza in una prospettiva ampia – insomma, 'digerisce' – tutta la documentazione entrata nella disponibilità degli sto­rici dopo la caduta del Muro di Ber­lino, prima della nuova chiusura de­cretata da Putin. È anche, secondo la migliore tradizione anglosassone, una storia piacevole da leggere, no­nostante quegli inciampi di tradu­zione che sembrano diventati la norma, in Italia (che bisogno c’è, per esempio, di impegolarsi in un «...che aveva la propria sede a L’viv (Lwów – Lemberg)», quando baste­rebbe scrivere 'Leopoli'?). Giusta­mente Bellamy parla della Russia e non dell’Unione Sovietica, perché non indugia dietro al paravento i­deologico che proponeva l’Urss co­me una forma di federazione, ma la riconduce ai suoi reali termini di as­soluto dominio di Mosca sui territo­ri sottomessi. Non va dimenticato che quella che per i russi è la Gran­de guerra patriottica, per molti Pae­si non è stata altro che l’annessione totale – Estonia, Lettonia, Lituania – o parziale – Finlandia, Polonia, Ro­mania – all’impero di Mosca. Parti­colarmente interessante e ben cali­brata è l’analisi dei rapporti tra il re­gime nazista e quello comunista, al di là del patto Ribbentrop-Molotov che spartì tra i due totalitarismi l’Europa centro-orientale – colpi­sce, nel ricco inserto iconografico, la mappa della Polonia attraversata dalla linea di demarcazione concordata e solcata da due enormi firme di Stalin e Ribbentrop. Da Hitler e­rano partiti infatti due ordini: uno all’esercito, affinché approntasse l’attacco all’'Orso' bolscevico; l’al­tro alla diplomazia, perché con lo stesso Orso cercasse piuttosto l’in­tesa. E non fu una semplice manife­stazione d’intenti: Ribbentrop portò ben avanti la trattativa, fino a una «bozza di trattato che avrebbe tra­sformato il patto a tre in un patto tra quat­tro Stati – Germania, Italia, Giappone e U­nione Sovietica – ac­comunati dal deside­rio di cooperare 'per garantire le loro na­turali sfere d’influen­za' ». Ancor più signi­ficativo è il fatto che quello che per Hitler poteva essere soltanto un diversivo, buono per prendere tempo mentre preparava l’aggressione, fu invece a lungo cullato da Stalin quasi come un sogno, tanto che il dittatore co­munista si rifiutò pervicacemente di credere a ogni segnale in direzio­ne contraria. Non solo onorò fino all’ultimo il patto di collaborazione economica siglato con i nazisti – l’ultimo treno di materie prime ar­rivò in Germania il 21 giugno 1941, il giorno prima dell’attacco tedesco –, ma arrivò perfino a far fucilare i disertori tedeschi che annunciava­no l’imminenza dell’attacco a sor­presa come 'disinformatori', e a vietare alle sue truppe di reagire all’attacco stesso, almeno nelle pri­me fasi. Nel quadro di Bellamy, in­somma, fino all’ultimo Stalin, lungi dal voler aggredire il futuro Nemico Assoluto nazista, ne cercò al contra­rio l’amicizia. Fu solo perché alla fi­ne la Germania ritenne più econo­mico occupare militarmente le fonti di materie prime russe, anziché pa­garle secondo regolari transazioni commerciali come aveva fatto fino al 1941 con piena soddisfazione di ambo le parti, che fu guerra e non pace. Forse è anche per non farsi sfuggire ulteriori conferme a questa imbarazzante contiguità che Putin ha di nuovo chiuso la porta agli sto­rici. Oppure per non lasciare che ficchino il naso in altri interrogativi ancora insoluti: per esempio, il desti­no degli ufficiali po­lacchi. Ormai l’ecci­dio di Katyn è di do­minio pubblico; tut­tavia Bellamy fa nota­re che in quell’occa­sione fu eliminata soltanto una piccola parte dei pri­gionieri caduti in mano russa: quelli di Kozel’sk, uno dei tre campi di concentramento appositamente istituiti. «Non c’è alcuna certezza di cosa accadde ai quattromila dete­nuti a Starobil’s’k, o ai seimilacin­quecento di Ostaškov». Di certo a casa non sono tornati. Che nelle fo­reste dell’estremo oriente europeo ci sia ancora da scavare?

Chris Bellamy, Guerra assoluta, La Russia sovietica nella Seconda guerra mondiale, Einaudi, pp. 838, € 48,00
Fino al ’41 il patto Ribbentrop-Molotov per spartirsi l’Europa orientale aveva funzionato benissimo




«A» del gennaio 2011

Nessun commento:

Posta un commento