14 dicembre 2010

La Riforma: se questa è modernità

Un saggio di William G. Naphy rilancia la questione: il protestantesimo ha vinto?
di Luca Gallesi
Se il monaco agostiniano Martin Lutero avesse anche solo lontanamente immaginato le conseguenze del suo gesto, probabilmente avrebbe evitato di affiggere al portone della cattedrale di Wittenberg quelle che sarebbero diventate famose come «le 95 tesi». Questa è una delle tante conclusioni a cui giunge William G. Naphy, docente all’Università di Aberdeen e autore della Rivoluzione protestante. L’altro cristianesimo (Cortina, pp. 354, euro 27), uno studio sull’eredità, complessa e a volte con­traddittoria, della Riforma protestante. Il saggio ripercorre in modo brillante e scorrevole la storia del Protestantesimo dagli albori ai giorni nostri – il sottotitolo originale recita: Da Martin Lutero a Martin Luther King – con l’intenzione di evidenziare il ruolo determinante della Riforma nel processo di modernizzazione dell’Occidente. Certo, sottolinea l’autore, la Riforma è solo una delle molteplici cause della modernizzazione, ma va evidenziato il fatto che ne accompagna il corso fino ai giorni no­stri. E, se è vero che le principali confessioni protestanti vedono oggi un repentino calo di popolarità, dalla diminuzione dei fedeli che frequentano le chiese luterane alle sempre più numerose richieste di esponenti del clero an­glicano di abbracciare il Cattolicesimo, è al­trettanto vero che l’eredità del Protestantesimo non si limita solo alla sfera religiosa. Il Prote­stantesimo, per esempio, ha influito sull’arte, prima con le furiose ondate iconoclastiche, poi, in tempi recenti, incoraggiando la ricerca minimalista di molti artisti contemporanei, così come la Riforma ha dato anche impulso, in campo letterario, alla diaristica e alla letteratura introspettiva. Ma è soprattutto nel campo politico e sociale che va individuato l’influsso protestante, presente per esempio nelle battaglie per i «diritti civili» che, secondo l’Autore, sono una conseguenza diretta dell’enfasi luterana sulla coscienza del singolo e sull’importanza delle scelte individuali.
Inevitabilmente, però, la mancanza di una fonte di autorità indiscussa e indiscutibile ha portato a una serie pressochè interminabile di scismi e di insanabili contraddizioni; come ironicamente conclude Naphy, Lutero ha «so­stituito il meccanismo dell’autorità con la ricetta per il disordine». Dunque, il «vaso di Pandora» scoperchiato da Lutero il 31 ottobre 1517 incendia rapidamente tutta l’Europa, complice la diffusione della stampa. Le spesso reali esigenze morali dell’individuo si in­trecciano, questa volta, con le altrettanto reali priorità della politica, che, al contrario di quanto accaduto in passato ai precedenti movimenti ereticali, si alleano e incoraggiano il diffondersi del Protestantesimo.
L’autore ripercorre a grandi linee la storia dell’Occidente, prestando attenzione sia alle grandi chiese – luterana, calvinista e anglicana – sia, e qui sta forse il merito principale del li­bro, a tutte quelle altre chiese, cosiddette 'radicali', che continuano inevitabilmente a germogliare. La coscienza dell’individuo, in relazione personale con Dio attraverso la verità rivelata dalla Bibbia, trova da sola la risposte che desidera, e Naphy riporta correttamente le posizioni opposte che caratterizzavano – e caratterizzano ancora oggi – le diverse confessioni protestanti davanti a temi importanti come la discriminazione o la difesa delle minoranze; nella Bibbia, infatti, si trovano argomenti tanto a condanna quanto a giu­stificazione della schiavitù e della segregazione razziale, come vediamo chiaramente nella storia degli Usa. Se infatti ci sono dei prote­stanti tra i sostenitori dell’emancipazione femminile, ce ne sono ancora di più convinti tra i membri del Ku Klux Klan, che non perseguitavano solo gli afroamericani ma se la prendevano anche contro i cattolici. Lasciato a se stesso, il lettore delle Sacre Scritture sceglie da solo se la verità che gli interessa è quella che riguarda la necessità di «porgere l’altra guancia» o quella di «bruciare le streghe», precetti contenuti allo stesso modo nella Bibbia.
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Giorello: «Aprì alla ricerca scientifica e al soggetto»
Giulio Giorello, docente di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano, è coautore, insieme con Pietro Adamo, dell’Introduzione al volume di Naphy.

Qual è il principale contributo della Riforma alla modernizzazione?
«L’elemento di modernizzazione più profondo che emerge da tutta la storia del protestantesimo è l’aver ben definito le due nozioni di libertà e responsabilità individuale, due idee che esistevano anche prima, ma che emergono soprattutto con la Riforma. Nelle sue parti migliori, che non sempre sono quelle istituzionali, il Protestantesimo è riuscito a fare dell’indagine dentro di sè qualcosa di simile alla ricerca scientifica; il gusto della sperimentazione, il colloquio continuo con Dio e con il mondo, l’idea che questo dialogo, pur essendo esclusivamente un lavoro della coscienza di ciascuno abbia una grande importanza anche per gli altri sono elementi comuni con la 'Repubblica delle Lettere', cioè la comunità scientifica, dove il dissenso e la critica favoriscono la crescita della conoscenza. Dato, poi, che la libertà non è mai distinta dalla responsabilità, e l’individuo non è mai staccato dalla comunità, questa relazione dinamica, nel Protestantesimo, non può chiudersi in una forma istituzionale, e laddove lo ha fatto, si è trasformata in qualcos’altro, non di rado il suo opposto. Come accade al giovane Calvino, che da giovane 'liberale' e libertario, diventa un cupo uomo d’ordine».

La varietà di posizioni, talvolta contrastanti, è una conseguenza dunque di quella relazione dinamica...
«Cromwell diceva che 'Noi siamo per prima cosa persone che cercano', e, per Milton, 'l’opinione non è che la conoscenza nel suo farsi': in queste affermazioni troviamo espresso chiaramente il legame molto stretto che unisce il Protestantesimo e la cultura scientifica, che può avere, vista la libertà totale di ricerca, dei risultati completamente opposti. Nel campo delle scelte sociali, ad esempio, possiamo trovare il reverendo Martin Luther King o il boero afrikaner bianco, entrambi egualmente convinti di essere dalla parte di Dio».
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Cardini: «Puritanesimo e individualismo: mali di oggi»
Franco Cardini è ordinario di Storia Medievale nell’Istituto Italiano di Scienze Umane.

La tesi principale del libro di Naphy è che il prote­stantesimo abbia plasmato le linee principali della modernità, tra cui la difesa dei 'diritti civili' ...
«Trovo tragicomico il riferimento ai diritti civili quando si parla del protestantesimo, e non perché il prote­stantesimo, al pari del cattolicesimo, o dell’islam o dell’ebraismo, non abbia in molti suoi settori portato avanti questa la battaglia, ma, perché, quando si pensa a uno dei frutti più immediati del protestantesimo, viene in mente l’irrigidimento ferocissimo sia sul piano dei costumi che su quello dell’ortodossia; per non parlare, poi, di cose orribili come la com­plicità di Lutero nel massacro dei contadini, o dei roghi accesi da Calvino, o dei massacri di quelli che un tempo di chiamavano pellerossa; con questi riferimenti, uno può solo sorridere quando si parla del contributo del protestantesimo alla modernità intesa come difesa dei diritti civili. Se parliamo di tolleranza, poi, non bisogna dimenticare, ad esempio, che la tolleranza teorizzata da Locke, era molto limitativa: egli parla di 'mutua inter Christianos tolerantia'».

Allora, in che senso il protestantesimo può dirsi vittorioso storicamente?
«Secondo me non si può, a meno di non volerlo offendere gravemente, affermare che il protestantesimo ha vinto poiché è stato il primo passo della modernità, dato che, a dirla tutta, la modernità è alla fine il processo di ateizzazione dell’Occidente. Come diceva recentemente il cardinal Martini, l’albero non si ricono­sce dalle radici, che non si vedono, ma dai frutti, uno dei frutti non secondari del protestantesimo è l’inizio di una corsa all’individuali­smo esasperato di cui, oggi, subiamo le conseguenze. Del resto, se accettiamo che Dio abbia degli eletti, tali a prescindere dalle opere, ne consegue per forza, anche se certo non voluta dai teologi prote­stanti, la caduta del senso morale; se successo, denaro, benessere e fortuna sono di per sé segni della benevolenza di Dio, si apre la voragine della violenza colonialista e dell’appropriamento dei beni altrui».
«Avvenire» del 10 dicembre 2010

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