24 novembre 2010

Tv, l’inganno delle emozioni

Spot ai raggi X
di Roberto I. Zanini
Nel 1906 Joseph Conrad, l’autore di Cuore di tenebra, nel racconto "Un anarchico" si «rattrista» per «il moderno sistema della pubblicità» e ne parla come della «dimostrazione del prevalere di quella forma di degradazione mentale chiamata credulità». Poi annota: «In varie parti del mondo civile e selvaggio ho dovuto mandar giù l’estratto di carne 'Bos'. Quello che non sono mai riuscito a mandar giù è la sua pubblicità». Affermazioni che ai giorni nostri risulterebbero intollerabili a qualunque pubblicitario o manipolatore della comunicazione che sia. L’aperta dichiarazione di provare fastidio di fronte alla reclame è infatti un esercizio di libertà, che indica un duplice fallimento del comunicatore: perché l’attuale sistema della comunicazione commerciale e non solo, è costruito per condizionare le scelte dell’individuo; perché per vendere il prodotto la pubblicità deve sedurre. Adesso, evidenzia Anna Olive­rio Ferraris, docente di Psicolo­gia dello sviluppo alla Sapienza di Roma, nel libro "Chi manipola la tua mente? Vecchi e nuovi per­suasori: riconoscerli per difender­si", edito da Giunti, si ragiona co­me quel tal Patrick Le Lay, diret­tore del primo canale della tv pubblica francese, che su 'Le Monde' dell’11 luglio 2004, rife­rendosi a una certa bibita gassata reclamizzata dalla sua rete, teoriz­za: «Perché un messaggio pubbli­citario sia recepito bisogna che il cervello del telespettatore sia di­sponibile. Le nostre trasmissioni hanno per vocazione quella di renderlo disponibile... Quello che vendiamo alla bibita gas­sata è una frazione di tempo del cervello umano disponibi­le ».

Insomma, professoressa Oli­verio Ferraris, vendono il nostro cervello.
«È il loro obiettivo. Per que­sto i programmi sono fatti in funzione degli sponsor. Soprattutto i cosiddetti con­tenitori, che risultano sempre più stupidi per rendere più inci­siva la pubblicità».

Si dice che la tv ipnotizzi i bambi­ni.
«Anche gli adulti. Sappiamo che nei bambini dopo circa venti mi­nuti davanti alla tv o ad analogo ti­po di comunicazione per immagi­ni, le onde cerebrali si modificano. Da beta diventano alfa, cioè simili a quelle degli stati ipnotici».

Un’inchiesta ha collegato il nume­ro dei televisori in casa con la pro­pensione delle famiglie al consu­mo dei prodotti più pubblicizzati.
«Con tante tv ognuno guarda la sua. E senza potersi confrontare con una persona reale diventa più vulnerabile».

Anche quando si va al super­market dopo un po’ ci si sente fra­stornati. Meglio essere accompa­gnati?
«Tutto nei supermercati è con­cepito per stimolare gli acquisti. Le luci, la musica. Si crea un am­biente uterino, benevolo. E spesso i prodotti cambiano di posto per dare la sensazione di andare a scovarli... come quan­do eravamo cacciatori-raccogli­tori».

Si fanno studi specifici da de­cenni.
«Anche sul modo di far passare gli spot in tv. Ha fatto caso a quelle pubblicità che vengono trasmesse una volta per intero e poi sono rilanciate a spezzoni? Lo fanno perché lo spettatore sia costretto a fare lo sforzo di com­pletare lo spot. Un esercizio m­nemonico, che fissa nelle menti il marchio e le sue atmosfere».

Sono più importanti le atmosfere o il prodotto?
«Le faccio il caso dei detersivi. In fondo sono tutti uguali. Se vuoi vincere la concorrenza devi inven­tarti un logo, uno spot seduttivo, l’atmosfera giusta. Sembra strano, ma è la stessa logica che, per para­dosso, conduce le emittenti a fare in prima serata programmi che si assomigliano tutti».

Nel senso che per sedurre i tele­spettatori tutti puntano su bisogni primari come cibo, paura e sesso?
«In questo modo si pensa di dare alle persone quello che cercano. La concorrenza fra le emittenti punta tutto su questo e la qualità della tv si abbassa progressivamente. An­che i politici utilizzano la stessa tecnica. Con una sintassi elemen­tare dicono quello che la gente si aspetta di sentir dire da loro».

Non servono i contenuti, ma serve la televisione?
«La televisione o qualunque altro media dove l’importante è esserci e arrivare in contemporanea a mi­lioni di persone. In questo modo ognuno può costruirsi un carisma: basta apparire. Pensiamo a certi personaggi dello spettacolo e non solo, che sono ammirati pur con­ducendo una vita riprovevole, pur entrando e uscendo dalla galera, pur essendo dei ricattatori. Acqui­stano popolarità e siccome la mac­china della comunicazione è auto­referenziale, fanno un’intervista con uno e poi li intervistano tutti. Per gli operatori della comunica­zione il modellino preconfeziona­to, il format, funziona sempre».

Più ti emoziono, più ti condiziono. E la verità dei fatti?
«Nella comunicazione per imma­gini non conta la verità, conta l’e­mozione, il sentimento. E siccome tante persone associano i senti­menti e le emozioni che provano con la verità... La nostra civiltà è fatta di persone che in certe condi­zioni si lasciano convincere facil­mente. Basta il colpo di teatro la trovata che crea la giusta atmosfe­ra. I nostri politici lo sanno, così come lo sanno i conduttori televisivi più gettonati. Anche il modo di porre le domande condiziona le ri­sposte. I sondaggi in tv sono esem­pi classici di manomissione della verità. Poi nessuno controlla se le promesse sono state mantenute e se le 'verità' sono accertate».

Se conta solo quello che dà emo­zioni vengono a cadere tutti i prin­cipi che reggono la società civile.
«Certamente si favoriscono com­portamenti più impulsivi. Omolo­gati. Anche nel rapporto col sesso. Le gerarchie, le convenzioni, le re­lazioni, tutto quanto è frutto della civiltà e dell’istruzione perde di senso. L’autocontrollo non ha più significato. Le dispute, le divergen­ze si risolvono con la violenza. In tanti cartoni per bambini si ragio­na così. La politica ragiona così».

Come ci difendiamo?
«Non conosco altra difesa che quel­la di far crescere lo spirito critico».

Di fronte a un sistema che mina le radici della democrazia e della no­stra stessa civiltà ci difendiamo con lo spirito critico?
«Bisogna insegnare a valorizzare lo spirito critico. A non accontentarsi di essere cullati. Solo così si acqui­sta l’esperienza necessaria per di­stinguere l’imbonitore dal comu­nicatore onesto. La civiltà non pro­gredisce con le sensazioni, la de­mocrazia non vive solo di emozio­ni. I giovani sono sensibili sulle questioni che hanno a che fare con la libertà. Nel mio lavoro ho visto che sono molto ricettivi quando si spiegano i modi e i motivi di chi li vuole ingannare. E il comporta­mento dell’utente condiziona il comunicatore».
«Avvenire» del 24 novembre 2010

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