16 novembre 2010

Invece di morire, la Tv si scopre 'convergente'

di Alessandro Zaccuri
Il bello della convergenza è che, in realtà, è quanto di più divergente si possa immaginare. Perché è vero, i media sono destinati ad avvi­cinarsi l’uno all’altro, creando un nuovo 'ambien­te' la cui mappa – come accade nei videogiochi – si disegna su schermi e display nel momento stes­so in cui si esplorano nuove porzioni di territorio. Solo che l’esito di questo processo non è la black box mitizzata dai tecno-sciamani degli anni No­vanta, l’apparecchio definitivo del 'tutto in uno' il cui risultato avrebbe dovuto eccedere di gran lun­ga la somma delle parti. Al contrario, come ha di­mostrato Henry Jenkins, 'convergenti' sono i com­portamenti delle persone, 'convergente' è la pra­tica di ciascuno di noi quando andiamo alla ricer­ca dello stesso contenuto su piattaforme differen­ti, con un occhio di riguardo per il web, d’accordo, ma senza dimenticare per questo i mezzi di co­municazione più tradizionali. E siccome le perso­ne sono tutte diverse tra loro, il medesimo proces­so assume un’innumerevole, 'divergente' varietà di forme.
Capita così che la tv, data per spacciata dai primi gu­ru dell’era digitale, viva oggi una stagione di straor­dinaria vivacità, trasformandosi in crocevia di mol­teplici esperienze di visione e di ancor più variega­te pratiche di condivisione. È lo scenario docu­mentato dal volume Televisione convergente: la tv oltre il piccolo schermo, a cura di Aldo Grasso e Mas­simo Scaglioni (Link Ri­cerca, pagine 268, euro 18,00: il libro sarà pre­sentato oggi alle 11.30 presso l’aula Pio XI del­l’Università cattolica di Milano nel corso di un incontro al quale parte­ciperanno Pier Silvio Berlusconi e Marco Paolini, direttore Marketing strategico R­ti).
Frutto di un’articolata indagine condotta lo scorso anno dal Ce.R.T.A., il Centro di ri­cerca sulla televisione e gli audiovisivi attivo in Cattolica dal 2008, lo studio si articola su tre piani 'convergenti': l’a­nalisi dei ruoli innova­tivi che emittenti e spettatori si trovano a giocare in un panorama dominato, tra l’altro, dal­l’inedita centralità del 'marchio' che caratterizza il programma (che deve quindi rimanere riconosci­bile in ciascuno dei contesti in cui si manifesta); il riconoscimento di alcuni degli stili attualmente a­dottati da un pubblico che, pur non avendo del tut­to abbandonato la tv tradizionale, sperimenta con curiosità crescente le offerte della programmazio­ne digitale; una nutrita serie di casi emblematici, che vanno dai nostrani 'Cesaroni' (tra le cui 'esten­sioni' fuori dal piccolo schermo troviamo anche un’etichetta di vini…) e gli americanissimi 'He­roes', la serie di fantascienza paradossalmente soffocata dall’eccesso di narrazioni in parallelo svi­luppatesi su piattaforme alternative rispetto alla cara, vecchia tv.
In questo territorio non privo di contraddizioni si verifica, come osserva Grasso in uno dei capitoli del volume, «l’incontro, e spesso lo scontro, tra u­na produzione potenzialmente più aperta e un con­sumo potenzialmente più attivo». Fenomeni di cui, nel nostro Paese, si scorge per ora solo qualche av­visaglia: in una delle 'tribù televisive' censite dal­la ricerca il televisore continua a dominare indi­sturbato, anche se il capofamiglia va molto fiero del suo smart phone di ultima generazione, mentre in altre situazioni l’attivismo tecnologico dei più gio­vani è frenato dalla scarsa disponibilità economi­ca. Ma la trasformazione è già in atto e ha per og­getto, scrive ancora Grasso, «quella cosa che, oggi e per molti anni ancora, continueremo a chiamare televisione».
Eterna televisione. Col web doveva finire invece è il luogo dove convergono tutti i generi. Un libro di Grasso e Scaglioni
«Avvenire» del 16 novembre 2010

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