17 novembre 2010

Chiesa, i rovesci del diritto

Prima il cristianesimo adottò le leggi romane anche per organizzarsi, confondendo però spirituale e temporale; poi iniziò un cammino per liberarsi dalle strutture ingiuste. Un bilancio a più facce
di Carlo Cardia
Il cristianesimo si incontra presto con il diritto, e finisce con l’esservi pienamente coinvolto. La sua diffusione si realizza nella realtà dell’impero romano, che ha rag­giunto un livello di maturità e sa­pienza giuridica ancora oggi insu­perato, con un’autorità politica cen­trale e una legislazione ammirate in ogni epoca. La nuova religione assi­mila la mentalità e la pratica giuri­dica sin dai tempi delle persecuzio­ni, quando vive e si struttura utiliz­zando gli strumenti del diritto ro­mano per ciò che riguarda la propria organizzazione, amministrazione dei beni, struttura gerarchica. Ma la compenetrazione con il diritto si de­termina soprattutto quando diviene religio licita nel 313, religione del­l’impero nel 380, in proporzioni che ingigantiscono con il tempo.

Le ragioni della «giuridicizzazione del cristianesimo» sono oggetto di discussione, senza che una tesi rie­sca a prevalere sull’altra. La più con­vincente ritiene che il diritto sia con­naturato al cristianesimo, pur non potendosi negare il ruolo svolto dal­l’incontro con la romanità. Per Pao­lo Grossi, «su un punto si può tran­quillamente concordare: che questa Chiesa – che è romana, che dalla ci­viltà romana ha assorbito molto (...) – questa Chiesa ha avuto da Roma in legato il sentimento della rilevanza del diritto e, di conseguenza, la per­suasione del diritto come cemento sociale come garanzia di incisività nella storia e – perché no? – anche come strumento potestativo».

Però, aggiunge l’autore, la ragione del rapporto inscindibile tra Chiesa e diritto è un’altra, risiede nel fatto che il cristianesimo sceglie di agire nella società come nel proprio am­biente naturale. La «Chiesa non dif­fida del temporale, anzi vi si immer­ge ben volentieri convintissima che la salvezza eterna dei fedeli si gioca proprio qui, nel tempo e nelle tem­poralità (...). Ma nel temporale non vivono individui isolati, bensì un re­ticolato di rapporti che uniscono gli individui nella societas ». La comu­nità «protegge, garantisce, media», è «l’unico tramite sicuro per un collo­quio efficace con la divinità», e ne deriva «la preminenza e l’essenzia­lità del giuridico», perché «se per l’i­deologia religiosa cattolica è nel so­ciale che si gioca la salus aeterna a­nimarum, il diritto, compenetrato nel sociale, lo è implicitamente an­che al religioso. Il diritto si colloca naturalmente anche in un orizzon­te salvifico». Il grado di compenetrazione con il diritto dipende dal contesto geopo­litico nel quale il cristianesimo si diffonde, provoca effetti aggiuntivi, incide sulla sua natura religiosa, e nel tempo si modifica, cresce, si af­fievolisce e si stempera. Un mo­mento decisivo del processo di giu­ridicizzazione è quando Costantino diviene arbitro nelle vicende interne della Chiesa, pur essendo ancora pontifex maximus, capo dei pagani. Costantino quasi si sdoppia. Guida e garante del paganesimo, si erge a difensore dell’unità cristiana, consi­dera tale unità un grande valore po­litico, esercita diritti e poteri squisi­tamente ecclesiastici. L’imperatore sollecita la Chiesa a risolvere le con­troversie dottrinali aperte in Africa da Donato, il quale ritiene necessa­rio un nuovo battesimo per gli ere­tici convertiti e considera invalidi i sacramenti amministrati da chieri­ci indegni. È iniziata la commistione con il di­ritto pubblico, ma la compenetra­generale zione tra impero e Chiesa giunge a compimento con l’esplosione della crisi ariana. L’insegnamento di Ario mette a rischio l’identità del cristia­nesimo, ma ha effetti deflagranti an­che per l’impero, dove per la prima volta province e distretti si dividono e si combattono per motivi teologi­ci. Poiché l’insegnamento di Ario si diffonde e conquista consensi, si prospetta l’esigenza di un concilio – la prima assise ecumeni­ca della storia – che definisca una dottrina valida e cogente per tutti.

Costantino convoca il concilio a Ni­cea, lo inaugura il 20 maggio 325, e afferma in apertura: «Quanto a me, considero temibile come una guer­ra, come una battaglia, e più diffici­le a perdersi, ogni sedizione interna della Chiesa di Dio e la pavento più che le guerre esterne». Il concilio ri­solve le questioni religiose, si con­clude con la condanna di Ario e l’ap­provazione del simbolo di Nicea, il credo cristiano che non cambierà più. La professione di fede entra a far parte delle leggi imperiali.

La Chiesa si apparenta in questo mo­do all’impero e al suo capo, finisce col farsi plasmare dalla mentalità e dalla cultura giuridica, che sfiora la sfera della dottrina e della teologia. La gerarchia indulge all’uso del me­todo giuridicizzante anche nel defi­nire principi e verità teologiche. Se questa opera è necessaria per man­tenere l’unità delle genti cristiane, è vero che si attenua l’orizzonte mi­sterico nel quale la rivelazione si in­serisce, diminuiscono la flessibilità e la delicatezza con cui si dovrebbe parlare dell’ambiente e della di­mensione del divino. L’assimilazio­ne della mentalità romana rischia di introdurre nella religione del libro un formalismo che non giova alla so­stanza del suo messaggio.

L’intreccio con il diritto prosegue senza soste, con risvolti ambigui e fecondi al tempo stesso. Il diritto ro­mano e il diritto canonico sono stru­menti utili per civilizzare popoli e terre d’Europa, per creare istituzio­ni ecclesiastiche stabili, disciplinare la Chiesa. Quando l’Europa si fa a­dulta, inizia un cammino inverso, che non cancella il diritto canonico, ma inizia ad abbattere strutture au­toritarie e ingiuste, riconosce i dirit­ti dello Stato che si emancipa dalla Chiesa, avvia un processo di spiri­tualizzazione della Chiesa nel quale siamo tuttora immersi.

C’è un bilancio quasi impossibile da fare, e che sarebbe affascinante: ciò che il diritto ha dato alla Chiesa, e ciò di cui l’ha privata, ciò che la Chie­sa ha dato al diritto, ciò che l’ordi­namento canonico può lasciare sen­za perdere la propria identità.



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La persona, roba da Medioevo...

di Roberto I. Zanini



«Il diritto è condizione dell’amore». È stata una frase di Benedetto XVI a centrare il dibattito, ieri sera all’ambasciata italiana presso la San­ta Sede, con Carlo Cardia, il cardinale Attilio Nicora e l’attuale presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia italia­na Giuliano Amato. A citarla è stato il car­dinale, ricordando uno scritto indirizza­to dal Papa, il 18 ottobre scorso, a tutti i seminaristi del mondo: «Imparate anche a comprendere e, oso dire, anche ad a­mare il diritto canonico, nella sua ne­cessità intrinseca... Una società senza di­ritto sarebbe priva di diritti. Il diritto è condizione dell’amore».

Un concetto fondamentale, ha sottoli­neato il cardinale, che papa Benedetto ha evidenziato anche in alcune encicliche, poiché «il rapporto fra carità e giustizia è alla base di o­gni società civile. Ecco, si può dire che il nuovo volume di Cardia La Chiesa tra storia e diritto sia un atto d’amo­re al diritto canonico». In questo senso «mostra un quadro molto interessante della nostra civiltà, come abbia tratto linfa dall’evolu­zione del diritto nell’intreccio con la storia. Con grande equilibrio nel valutare le vicende, la crescita progressi­va del diritto canonico viene costantemente messa in rapporto con i processi di umanizzazione e civilizzazio­ne della società. Ed emerge bene come ulteriori contri­buti significativi possano venire da questa evoluzione. Tanto più in un momento di produzione canonistica im­portante come l’attuale, anche a causa degli eventi rela­tivi ai progressi del dialogo ecumenico e alla questione della pedofilia».

Ragionamento ripreso dall’ex presiden­te del Consiglio, per il quale il diritto «è la regola che distende i fatti dal caos al­l’ordine, in una sorta di sintesi di tutte le scienze umane, di intreccio con la sto­ria. Questo è il motivo per cui, a parer mio, il diritto dovrebbe essere amato. Del resto non bisogna dimenticare che i diritti della persona così come noi oggi li conosciamo scaturiscono dalle elaborazioni di diritto canonico fatte in epoca medievale. È il cristianesimo che ha reso evidente il concetto di persona come portatrice di diritti inalienabili». Sulla stessa falsariga si è mosso il breve intervento di Cardia: «Ciò che si ama è il come la storia ha modellato il diritto facendosi modellare. E il libro è costruito mostrando come il diritto canonico si sia evoluto con l’evoluzione della Chiesa». Da qui l’augurio di Nicora affinché l’opera «possa trovare attenzione anche in ambito strettamente ecclesiastico, che potrebbe trarne vantaggi».
Amato: «La tutela dei diritti umani nasce dai canonisti dei secoli bui» Nicora: «Il rapporto fra carità e giustizia è base di ogni società civile»
«Avvenire» del 17 novembre 2010

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