09 ottobre 2010

Il potere della parola per sopravvivere: da Dante a Primo Levi

di Bianca Garavelli
La parola poetica, così in appa­renza immateriale e lontana dal presente, può avere un impatto sul mondo? Secondo Pie­rantonio Frare, che insegna Lette­ratura italiana all’Università Catto­lica di Milano, può, e non solo quella letteraria, ma in generale la parola che si usa normalmente per comunicare. Ce lo spiega in questo libro, che riunisce tre saggi stretta­mente collegati: la parola ha un grande potere, e per questo va usa­ta con attenzione, anzi con senso di responsabilità. La letteratura può aiutarci a riflettere su questo tema: un intellettuale può essere parte molto attiva della società, per il fatto stesso di indicare una via morale d’azione ai suoi lettori. Gli esempi del libro sono due grandi classici della letteratura, Dante e Manzoni, e un classico della con­temporaneità, testimone della mo­struosità del Novecento, Primo Le­vi. Il punto di partenza è il suo mo­do di servirsi della parola per reagi­re a questa crudeltà. L’esempio di Levi include quello di Dante: la for­za della parola, capace di portare alla salvezza, viene dal canto XXVI dell’Inferno , il cui protagonista U­lisse è il simbolo dell’umanità in cerca della verità senza una guida morale. Il tema della guida è cen­trale nel rapporto stesso fra Primo, internato nel lager, e il sorvegliante Pikolo, che vuole imparare l’italia­no da lui e lo accetta come guida.
Primo sceglie proprio il canto di U­lisse, che ricorda quasi perfetta­mente, come strumento di lavoro, senza un apparente motivo. Poi in­tuisce che Pikolo, a sua volta, ha assunto nei suoi confronti il ruolo di guida: il 'kapo' infatti ha capito che ricordare con esattezza i versi è una cura per l’anima di Primo, e lo invita a farlo, salvandolo: la parola dantesca fa sì che tra i due si in­stauri un autentico dialogo, anche dentro un luogo così drammatica­mente «a-comunicativo». Ulisse si chiarisce così come il simbolo della parola che inganna e porta all’ine­vitabile naufragio. Analogamente, i primi due canti dell’Inferno sono la giustificazione del viaggio nell’al­dilà, ma soprattutto del ruolo di guida di Virgilio, che non apparte­nendo al mondo cristiano ha biso­gno dell’avallo di Beatrice. È la pa­rola di Beatrice, scesa nel Limbo a incontrare il poeta latino, che ha il potere di innescare il meccanismo della salvezza, essendo lei un’ani­ma beata a diretto contatto col vo­lere divino. Ma Beatrice stessa rico­nosce che è la «parola ornata» di Virgilio, l’autore del poema più ammirato da Dante, il mezzo indi­spensabile per guidarlo. Ma lo stes­so Dante saprà essere guida per il suo Virgilio, offrendogli i suoi con­sigli e avvicinandosi sempre più al suo ruolo finale di autore. Per con­tro, ruolo non salvifico, ma terribile ha la parola nell’episodio manzo­niano di Gertrude: è la «strategia di persuasione occulta» del principe padre, che non dà scampo alla fi­glia facendola cedere alla sua vo­lontà. Con questi episodi famosi di «ricaduta della parola», Frare ci e­sorta a non dimenticare, anche se tutto intorno a noi invita alla su­perficialità e alla falsificazione.

Pierantonio Frare, IL POTERE DELLA PAROLA: Dante, Manzoni, Primo Levi, Interlinea, pp. 158, € 18
«Avvenire» del 9 ottobre 2010

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