03 settembre 2010

Ma far di conto è un'arte spirituale

di Luigi Dell’Aglio
Sono i primi anni Sessanta e a Edward Nelson, giovane professore a Princeton, dove segue gli studenti appena iscritti al Department of Mathematics, si presenta una matricola proveniente da Scienze della Religione: «Vorrei passare da voi». «E perché?», chiede Nelson. «Perché i corsi di matematica sono veramente difficili. Provocano un’enorme sofferenza. E la sofferenza è un bene per la mia anima». «Come motivo per studiare la mia disciplina mi sembrò strano – racconta oggi lo scienziato –. Per procurarsi la sofferenza, quel ragazzo non aveva bisogno dei corsi di matematica; c’erano tanti altri modi. Allora gli dissi: "Tu vorresti usare come un cilicio la scienza di Euclide e Archimede. Debbo proprio sconsigliartelo. Resta nel dipartimento di Religione, e studia con impegno. Se invece sceglierai la matematica, sappi che questa disciplina è anche gioia e spiritualità"». A 78 anni, Edward Nelson è uno dei "mostri sacri" del pensatoio scientifico più prestigioso del mondo (quello di Princeton, dove ha insegnato per più di mezzo secolo) e il 24 agosto sarà al Meeting di Rimini a parlare nel quadro della mostra «Da uno a infinito. Al cuore della matematica».

Professore, il confine tra «ars mathematica» e filosofia è sempre più labile. La matematica si pone domande molto simili a quelle che da millenni inquietano l’uomo e riguardano la sua origine e il suo futuro ...
Forse questa è un’idea un po’ romantica della matematica. Il 99% del nostro lavoro ha solo interesse tecnico. Ma ci sono eccezioni, come la scoperta (o l’invenzione) della geometria non-euclidea, che hanno una profonda importanza per la filosofia e l’umana conoscenza.

Quali sono le «fonti misteriose» (come le ha chiamate felicemente lei) da cui trae ispirazione il matematico?
Una mattina stavo preparando una lezione sui campi vettoriali (dunque un tema molto astratto) e, misteriosamente, ho sentito come un’orma di memoria muscolare nelle braccia. Mi sono reso conto che la formula astratta descriveva proprio il movimento che uno fa quando parcheggia un’auto.

È vero che scoprire nuove proprietà o dimostrare un nuovo teorema fa percepire al matematico quella intensa emozione creativa che prova l’artista quando sente di aver realizzato un capolavoro?
Sì, di solito è così. E non è necessario aver realizzato un "capolavoro"... Conta la bellezza concettuale della formula.

Ma qual è oggi il ruolo della matematica?
Il suo compito principale sembra quello di sostenere la scienza e la tecnologia. Ma ce ne è un altro, più vicino alla sua essenza. Le più grandi scoperte della matematica in anni recenti (sono stati dimostrati l’ultimo teorema di Fermat e l’ipotesi di Poincaré) non hanno nessun rapporto (almeno così sembra, ma non si sa mai!) con la scienza o la tecnologia. E il pubblico è affascinato da queste scoperte e comprende che il ruolo più importante della matematica è spirituale».

È vero che il matematico non chiede finanziamenti, e vuole soprattutto che la società si renda conto della funzione della matematica nel progredire della conoscenza?
Purtroppo, non vedo evidenza di questo. Noi siamo tanto avidi di denaro quanto gli altri esseri umani.

La matematica è già oggi la scienza senza la quale le altre non potrebbero né esistere né svilupparsi. È così?
Al Meeting di Rimini i visitatori potranno vedere, tra gli altri, un pannello con l’immagine del lancio d’un razzo. E la seguente annotazione: "È solo grazie alla matematica che l’uomo può mettere in orbita, in un punto preciso dello spazio, i satelliti artificiali".

Lei ha detto che l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, come vuole la Bibbia, deve sempre tentare di realizzare qualcosa di bello e di profondo. È vero che il matematico ha soprattutto il compito di pensare, cioè «viene pagato per pensare», specie in una culla della genialità quale è l’università di Princeton?
Il matematico viene pagato per pensare e per insegnare. Chi insegna trova difficoltà e ricompense ben diverse da quelle della ricerca; almeno è così nei primi anni dei corsi universitari. Una volta stavo correggendo, con un gruppo di colleghi, dei compiti di analisi elementare. Gli studenti avevano fatto un sacco di errori. Dal subconscio mi venne fuori un’esclamazione: sono quarant’anni che insegno a questi ragazzi, ma ancora non capiscono! Poi mi arriva la lettera di uno studente: "Ho sempre odiato la matematica, ma questo corso è stato un piacere". Non si può immaginare la gioia che questo riconoscimento infonde.

Su che cosa vertono ora i suoi studi?
Sto tentando di dimostrare che la matematica contemporanea è inconsistente».

Gli studi cui ha lavorato di più?
Esiste, o no, un’infinità di numeri perfetti? (I "numeri perfetti" sono quelli uguali alla somma dei loro divisori. Per esempio: 6=1+2+3). Quando il Signore mi chiederà: "Che cosa hai fatto della vita che ti ho dato?", gli riferirò su questa mia ricerca.
«Avvenire» del 17 agosto 2010

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