08 settembre 2010

La visita del Papa manda in tilt lo humor inglese

Unsuitable Guest
di Paolo Rodari
Aspettando l’arrivo di Benedetto XVI (16-19 settembre) lo humour anglosassone, tradizionale meccanismo di moderazione contro gli eccessi dell’ideologia, sembra non essere più di casa oltre la Manica. Sono soprattutto i media inglesi a sparare cannonate contro il Papa. Colpi che vogliono fare male, tanto che giusto due giorni fa sul Times è stato il prestigioso cardinale nordirlandese Keith O’Brien, arcivescovo della scozzese Edimburgo, a reagire: “Le notizie che la Bbc dedica al cattolicesimo sono pregiudizialmente contro”, ha detto. A scaldare gli animi delle gerarchie non c’è soltanto l’enfasi con la quale la tv di stato inglese ha dato notizia delle bizzarre richieste con le quali due atei combattenti come Richard Dawkins, docente di Oxford, e Christopher Hitchens, celebre giornalista autore del bestseller Dio non è grande, hanno chiesto l’arresto del Papa per crimini contro l’umanità non appena quest’ultimo atterrerà in Gran Bretagna. C’è di più. C’è il fatto che la Bbc ha già pronto un documentario da mandare in onda nelle ore in cui il Papa risiederà in Inghilterra intitolato “Benedetto. Processo a un Papa”. Ratzinger verrà messo sul banco degli imputati per la politica tenuta dal Vaticano nell’era Wojtyla nei confronti dei peccati carnali del clero. Il documentario, ha protestato O’Brien, è una “pugnalata nella schiena”.
O’Brien non è un cardinale qualunque. Spesso su posizioni liberal – nel 2003, pochi giorni prima di ricevere la porpora cardinalizia, sorprese aprendo al clero sposato, al clero omosessuale e alla pillola contraccettiva – e se decide di criticare la più seguita televisione del suo paese significa che la misura è colma. E poi non c’è soltanto la Bbc. C’è anche Channel 4 a preoccupare parecchio O’Brien e i colleghi vescovi. Qui Peter Tatchell, leader degli attivisti gay britannici, manderà in onda un’inchiesta nella quale verrano criticate le posizioni del Papa sull’omosessualità. Il movimento gay sostiene che Ratzinger usa due pesi e due misure: mentre a Birmingham proclama beato John Henry Newman che volle essere sepolto nella stessa tomba dell’amico frate Ambrose StJohn – una leggenda tutta inglese legge in questa volontà il segno di un legame “sospetto” tra i due – da Roma lancia pesanti strali contro i gay. In più, secondo Tatchell lo stesso Ratzinger sarebbe un omosessuale che reprime la propria natura prendendosela coi suoi simili. Insieme a Tatchell, anche Andrew Sullivan, scrittore cattolico e omosessuale, ha sostenuto la medesima illazione in un lungo pezzo uscito sulla rivista The Atlantic, con tanto di foto di Benedetto XVI immortalato maliziosamente a fianco del suo segretario particolare, don Georg Gänswein.
Il fuoco contro il Papa non è questione soltanto dei media. Tatchell ha arruolato forze diverse attorno a un movimento di base di nuovo conio: “Protest the Pope”. Del coordinamento fanno parte molte associazioni laiche britanniche. In tutto sono state raccolte venticinquemila firme e altrettante gli organizzatori sperano di raccoglierne da qui a settimana prossima. Le firme sono in calce a una petizione inviata al governo per chiedere non solo di cancellare la visita papale, ma anche che lo stesso Pontefice venga ufficialmente definito “unsuitable guest of the Uk government” (ospite indesiderato). A chi si iscrive viene offerta una t-shirt con la scritta “Pope Nope” (No al Papa), da sfoggiare nella “Big March”, la marcia che si snoderà da Hyde Park Corner fino al numero 10 di Downing Street il 18 settembre. Nei giorni della visita altre proteste accompagneranno la presenza del Papa. La più singolare è probabilmente quella degli abitanti di Twickenham. Il Papa si recherà nel quartiere londinese per incontrare i leader di altre religioni nella St. Mary’s University College. Dei cittadini lo aspetteranno, cercheranno di bloccare la strada di accesso e insieme alla “Richmond Coalition Against The State Visit” protesteranno per il fatto che “la loro zona è offesa dalla presenza di un Papa”.
«Il Foglio» del 7 settembre 2010

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