04 luglio 2010

Mancuso chiede il suicidio alla Sposa di Cristo

Chiesa prostrata dall’anarchia. Non basta a Mancuso (e a chi vuole distruggerla)
di Camillo Langone
"Albero che cade dàgli dàgli”, con questo detto popolare e insieme girardiano si può perfettamente circoscrivere l’attività di Vito Mancuso, tarlo della Chiesa cattolica. In un articolo apparso su Repubblica il noto filosofo animista chiede alla Sposa di Cristo di autodistruggersi e lo fa perché la vede debole e indifesa: fosse stata trionfante, avrebbe brigato per diventare cardinale e certo ci sarebbe riuscito, insinuante com’è. Stiamo vivendo un assalto al cristianesimo e sottolineo cristianesimo perché si attacca la Chiesa per negare Cristo, per liberarsi dei dieci comandamenti e pure dell’undicesimo (non c’è traccia di amore in un Mancuso che incoraggia le delazioni), per fare del Vangelo carta da cesso o da libero esame, la medesima cosa. La mia amica commercialista mi dice che i clienti disertano l’otto per mille, facciamoli morire di fame questi pedofili; i magistrati belgi profanano le cattedrali a colpi di martelli pneumatici; i tribunali americani vogliono portare il Papa alla sbarra. Che cosa sarà mai Mancuso di fronte a tutto ciò? Giusto la foglia intellettuale di fico degli ateisti che leggono Repubblica e che, immaginando la Chiesa come Umberto Eco e Dan Brown l’hanno immaginata per loro, fremono di sdegno quando leggono che Benedetto ha “pubblicamente umiliato il cardinale Schönborn” costringendolo “a una conciliazione forzata con il cardinal Sodano”.
Pensate un po’ quale tremenda tortura medievale ha dovuto subire il cardinale in carriera: chiedere scusa a un collega ultraottantenne e pensionato sul quale aveva pubblicamente gettato fango per la gioia dei giornalisti. Al lettore di Mancuso piace ignorare l’anarchia che regna nella Chiesa: i preti si vestono come gli pare e quindi da pastori protestanti (clergyman o peggio), sindacalisti Cisl o animatori di villaggi vacanze a basso costo, impipandosene degli infiniti richiami alla dignità dell’abito ecclesiastico prima wojtyliani ora ratzingeriani; la comunione nella gran maggioranza dei casi continua a essere data alla maniera luterana, ostia in mano, anche qui a dispetto dell’esempio petrino; i seminaristi anziché sui Padri si formano su Erri De Luca (pagina 171 di “Vita da preti” di Carlo Melina, Vallecchi); i vescovi calpestano l’Ordinamento del Messale Romano commissionando nuove chiese senza inginocchiatoi, senza crocefissi e con tabernacoli disassati o peggio nascosti; i frati ad Assisi negano l’esistenza del peccato originale (“la sola parte della teologia cristiana che possa davvero essere provata”) protetti dal lassismo o dalla complicità dei superiori.
Mancuso è rimasto sorpreso per la paterna correzione del Papa nei confronti di Schönborn, sono rimasto sorpreso anch’io, è proprio vero che la Chiesa è sorretta dallo Spirito Santo, altrimenti come potrebbe ottenere qualche minimo risultato un sant’uomo isolato in una curia di fatui, vanesi, ignoranti, rampichini, tifosi juventini, i soggetti meno mistici che si possano immaginare.
All’inizio ho usato l’aggettivo “girardiano” perché Vito Mancuso è una voce della folla in preda a “crisi mimetica”, la gigantesca intuizione di René Girard per descrivere il delirio di imitazione e invidia che periodicamente imbestia i pagani e non soltanto loro se ben due dei dieci comandamenti mosaici sono impegnati a contenere il desiderio: Non desiderare la roba d’altri, non desiderarne la donna. La cosiddetta pedofilia è il pretesto sollevato da plebi dedite alla pedofobia (contraccezione, selezione genetica, aborto) per distruggere la Chiesa la cui bellezza è uno scandalo, la cui origine divina suscita brama di saccheggio e stupro.
Le croci vengano abbattute, le campane tacciano, le cattedrali diventino musei e centri commerciali: qualcosa che dura da duemila anni risulta insopportabile a chi non riesce a camparne cento. La Chiesa è freno e quindi sembra ostacolo, opponendo la legge naturale alla tecnica cieca, incarnando il katechon (per dirla con san Paolo e Carl Schmitt) ovvero la diga che impedisce il dilagare dell’Apocalisse. Dice Emanuele Severino che “un tempo il precetto era: seguire la verità. Oggi non si crede più in essa, resta lo scontro fra le forze”. Quando Mancuso bombarda il magistero è per sostituirlo con la dittatura dei sondaggi, della finanza e dei laboratori scientifici. Quando parla utilizza il linguaggio del linciaggio, il lessico seriale della massa fanatizzata dai media, e non sa far altro che accusare e aizzare. Perché “Satana è l’altro nome della tendenza all’estremo”.
«Il Foglio» del 1 luglio 2010

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L'articolo apparso ieri su Repubblica
Così Mancuso attacca il Papa che difende Sodano
Preti pedofili, perché il Papa difende Sodano?
di Vito Mancuso

Ieri il papa ha sottolineato che il pericolo più grande per la Chiesa viene dal fronte interno: “Il danno maggiore lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità”. Ma allora perché, due giorni fa, ha pubblicamente umiliato il cardinale Christoph Schönborn, finora il più coraggioso degli uomini di Chiesa nel lottare contro il terribile inquinamento interno che è la pedofilia del clero?
Io quasi non volevo crederci, non poteva essere vero che Benedetto XVI, dopo aver più volte affermato di voler fare tutto il possibile per stabilire la verità e perseguire la giustizia nello scandalo pedofilia, avesse costretto l’arcivescovo di Vienna a una specie di Canossa vaticana.
Eppure era vero. Benedetto XVI aveva costretto il presule, nonché stimato teologo di orientamento conservatore a lui molto vicino, a una conciliazione forzata con il cardinal Sodano. La logica del potere romano è la forza che ancora domina la Chiesa cattolica.
Quello che però a mente fredda colpisce di più è il disinteresse mostrato dal papa per il merito delle accuse mosse pubblicamente da Schönborn il 28 aprile scorso contro il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato sotto Giovanni Paolo II, accusandolo di aver insabbiato il caso Groer.
Hans Hermann Groer (1919-2003), monaco benedettino, arcivescovo di Vienna e cardinale, fu costretto a dimettersi nel 1995 per aver molestato un seminarista minorenne (in seguito a suo carico emersero molti altri casi).
Immediato successore di Groer nella diocesi di Vienna, Schönborn quando accusava Sodano parlava di cose che conosce molto bene. Ma diceva la verità oppure mentiva? È vero o non è vero che Sodano da Roma ostacolò le indagini di Vienna? Il papa semplicemente non se ne è curato, non è entrato nel merito, alla verità ha preferito la forma ricordando che solo a lui è concesso accusare un cardinale. Così il comunicato ufficiale: “Nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al papa”.
Ma se è così, allora il papa è tenuto ad andare fino in fondo verificando se le accuse di Schönborn a Sodano sono fondate o sono solo calunnie. Lo farà? Non lo farà, per il motivo che dirò alla fine di questo articolo.
Nella predica a conclusione dell’Anno sacerdotale a piazza San Pietro l’11 giugno Benedetto XVI aveva detto di “voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più”. Alla luce del trattamento riservato a Schönborn queste parole appaiono molto sfuocate, mera retorica di stato. Di che cosa stiamo parlando, infatti? Stiamo parlando (occorre ricordarlo sempre!) di migliaia e migliaia di giovani vittime.
Oltre all’Austria scandali sono emersi ovunque. Negli Stati Uniti finora sono stati pagati indennizzi per 1.269 miliardi di dollari, con il conseguente fallimento di non poche diocesi.
In Irlanda nel 2009 sono usciti documenti come il Rapporto Murphy e il Rapporto Ryan, quest’ultimo sugli abusi del clero dagli anni ’30 agli anni ’70 (notare: anni ’30, altro che responsabilità della rivoluzione sessuale del postconcilio come scrive Benedetto XVI nella “Lettera ai cattolici irlandesi”): il risultato è che la Chiesa irlandese deve versare 2.100 milioni di euro di risarcimenti.
Poi c’è la Germania del papa: abbazia benedettina di Ettal in Alta Baviera, coro di Ratisbona, dimissioni di mons. Mixa vescovo di Augusta per molestie sessuali su minori, collegio Canisius dei gesuiti a Berlino…
C’è il Belgio con le dimissioni del vescovo di Bruges per i medesimi tristi motivi e le perquisizioni delle tombe nella cattedrale di Malines con le conseguenti deplorazioni pontificie.
Ci sono Polonia, Svizzera, Olanda, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Australia…
Don Ferdinando Di Noto, il prete da anni in prima linea contro la pedofilia, simbolo della rettitudine della gran parte dei preti, dichiarava il 18 febbraio scorso che in Italia i casi accertati sarebbero un’ottantina. Da allora, vista la frequenza delle notizie sui giornali, temo che la cifra sia aumentata non poco.
Di fronte a questi dati due cose sono sicure. Primo: se non fosse stato per la forza dei giornali e delle tv tutto sarebbe rimasto sconosciuto e insabbiato; se la Chiesa riuscirà un giorno a fare pulizia al proprio interno lo dovrà alla forza delle scomode verità fatte emergere dalla libera informazione.
Secondo: fino a poco tempo fa la linea tenuta dal cardinal Sodano sul caso Groer era la prassi abituale, come appare anche dalla Epistula de delictis gravioribus inviata il 18 maggio 2001 dall’allora cardinal Ratzinger ai vescovi di tutto il mondo che imponeva il secretum Pontificium per tutte le gravi trasgressioni del clero (notare: il caso Groer risale a sei anni prima!). È proprio questa la peculiarità dello scandalo, non tanto la pedofilia di preti e vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie, il fatto incredibile che i vertici ecclesiastici sapevano di questi crimini e, per non indebolire il potere politico della Chiesa, tacevano e insabbiavano.
Per anni e anni. Per interi decenni è stata preferita l’onorabilità della struttura politica della Chiesa rispetto alla giustizia verso le vittime, e quindi verso Dio. Le dichiarazioni del cardinal Sodano che riduceva a “chiacchiericcio” le accuse erano esattamente in linea con questa politica dell’insabbiare, e l’umiliazione inferta dal papa al cardinale Schönborn per averlo criticato è una conferma che questa politica non è terminata. La subdola peculiarità di questo scandalo mondiale è purtroppo ancora in vita.
Salvare la Chiesa prima di tutto. Prima dei bambini e della loro vita psichica e affettiva. Prima dei genitori e del loro inestirpabile dolore. Prima del senso di giustizia di tutta una società. Prima della giustizia di cui rendere conto davanti a Dio. Prima di tutto, la Chiesa e la sua immagine, e il conseguente potere che ne deriva.
Per questo l’ordine era (anzi è, perché altrimenti non si sarebbe salvata l’onorabilità del potente cardinal Sodano) coprire, insabbiare, dissimulare, mentire, negare, comprare. Tra l’ottantina di cardinali della Chiesa solo uno aveva avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura. Il papa l’ha messo a tacere, l’ha fatto rientrare tra le fila, imponendogli una bella dichiarazione di facciata.
Ma com’è possibile che nella Chiesa tanti crimini siano stati occultati e che all’interesse delle vittime sia stato preferito quello dei loro aguzzini? La risposta a mio avviso consiste nella teologia elaborata lungo i secoli che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica della Chiesa, a una sorta di sequestro dell’intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa, il cui inizio si può emblematicamente collocare, come già intuito da Dante, nella stesura del falso documento conosciuto come “Donazione di Costantino” da parte della cancelleria papale (documento svelato come falso da Lorenzo Valla nel 1440).
Questa teologia ecclesiastica ha condotto a fare dell’obbedienza alla Chiesa gerarchica il segno distintivo dell’essere cattolico: il cattolico è anzitutto colui che obbedisce al papa e ai vescovi. Se non obbedisci, non sei cattolico. Dante non lo sarebbe più, neppure san Paolo, che ebbe l’ardire di opporsi pubblicamente a Pietro, non potrebbe far parte di questa Chiesa cattolica. Al termine degli Esercizi spirituali così Ignazio di Loyola illustrava il rapporto con la verità che deve avere il cattolico: “Quello che io vedo bianco, lo credo nero se lo stabilisce la Chiesa gerarchica”.
Da tempo immemorabile la bilancia è il simbolo della giustizia. Su un piatto della bilancia ci sono le vite di migliaia di bambini, ragazzi e giovani irrimediabilmente deturpate da uomini di Chiesa. Sull’altro, che cosa mette la Chiesa? Oggi è costretta a mettere i nomi dei colpevoli, e tantissimi soldi. Ma si ferma qui, e non basta. Essa infatti deve aggiungere se stessa, la struttura di potere che l’ha fatta precipitare in questo abisso. Solo a questa condizione i due piatti possono tornare in equilibrio e generare la vera giustizia, quella che Gesù diceva di cercare sopra ogni altra cosa.

«La Repubblica» del 30 giugno 2010

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