10 luglio 2010

L’antifascismo dei voltagabbana

I libri di Sedita e Israel sulla logica opportunista degli intellettuali lungo il ventennio: un istante prima a libro paga del regime, dopo il ’45 eccoli fare i moralisti nel Pci
di Paolo Simoncelli
A leggere le pagine dei volumi di Sedita e di Israel ricche di documenti, e altri carteggi recenti (come quello tra Ungaretti e Lascure, edito da Olschki), vien da rinunciare a credere in qualunque principio, a manifestare piuttosto un rancore inerte ma inappellabile con­tro chi non si è limitato a prostituir­si ma, cambiati i tempi, ha deciso di fare l’elogio della verginità conti­nuando a esercitare il 'mestiere'. Il Nobel per la letteratura attribuito a Quasimodo nel ’59 provoca lo scon­certo di Ungaretti che ne ricorda il collaborazionismo col fascismo e la lucrata cattedra per 'chiara fama' di letteratura italiana. Esattamente co­me nel caso dello stesso Ungaretti. In più, entrambi, erano stati sovven­zionati dal Minculpop. E quello che si sapeva, ma non si doveva dire, cioè che quasi tutti gli intellettuali italia­ni avevano dato consenso e lodi al re­gime, quella «congiura del silenzio», denunciata da Pierluigi Battista in Cancellare le tracce, viene svelata o­ra dai 906 fascicoli personali, subito sequestrati al Ministero dagli Allea­ti e messi a disposizione delle auto­rità italiane per l’epurazione. Sov­venzioni a vario titolo coinvolgono ogni settore della cultura italiana.
I dati forniti da Sedita mostrano un diagramma di sovvenzioni dal 1932 al 1943 che incredibilmente ha un’impennata (moralmente ancor più inaccettabile) dal 1939 al ’43, do­po le leggi razziali e durante la guer­ra. Un elenco risulterebbe qui lacu­noso, ma sorprende (?) cogliervi i grandi esponenti della cultura co­munista e di sinistra del dopoguer­ra (Vittorini, Brancati, Bilenchi, Pra­tolini, Penna, Gatto, De Libero…). Croce aveva polemicamente colto nell’immediata corsa di molti intel­lettuali ad iscriversi al Pci l’intento di evitare l’epurazione (un altro op­portunismo dunque). Ma avremmo bisogno di credere in qualcosa di di­verso, non solo di pratico, pur senza poter più sperare in un pubblico ri­pensamento dei protagonisti di quel passato politico (ah, la malriposta fi­ducia nel «cancellare le tracce»!).
Proviamo ad offrirlo noi, non per im­provvisarci difensori d’ufficio di tan­ti (debolissimi) mostri sacri della no­stra cultura, ma per noi stessi che la casualità dell’esistenza ha messo al riparo da quegli anni e che avrem­mo voluto chiarezza e verità da quei maestri venuti a farci lezioni di an­tifascismo. Intellettuali di una gene­razione che ha avuto la memoria fre­sca della crisi del liberalismo e della rappresentanza parlamentare, di un parlamento cioè che già dalla fine dell’800 non rappresentava né biso­gni né sentimenti della società, pos­sono aver creduto in un movimen­to dichiaratamente antiparlamen­tare, e sperato in buona fede nella 'rivoluzione' fascista; travolti poi dalla drammaticità degli eventi, si sono ritrovati più agevolmente nel Pci che negli schieramenti liberali e crociani generazionalmente ignora­ti e storicamente sorpassati. Ma il controllo censorio della memoria storica generò il raggiro del costan­te e adamantino antifascismo, na­scondendo anziché spiegando quel passato personale (e di gruppo). Su cui si abbatte la slavina moralmen­te ineludibile delle leggi razziali.
Qui la documentazione raccolta da Israel è implacabile (e addirittura la­cunosa); essenzialmente rivolta alla vicende delle discipline scientifiche che nelle Università italiane ebbero uno sviluppo spettacolare, durante il fascismo, grazie a molti professo­ri ebrei. E per paradossale che pos­sa sembrare la questione, il proble­ma non appare nella sua gravità al momento dell’espulsione di stu­denti e professori ebrei dalle scuole italiane, ma al momento dell’epura­zione. Casi che francamente lascia­no agghiacciati: professori ariani che avevano plaudito all’espulsione dei colleghi ebrei, e che, come se nien­te fosse, nel dopoguerra vengono a dar mostra di antifascismo, a cele­brare in morte il collega ebreo già e­spulso nel ’38, a ricevere sussidi e premi per i loro Istituti, a godere del­la protezione di esponenti politici antifascisti, anzi propriamente co­munisti! Ma dove siamo vissuti? E l’equazione antifascismo=antirazzismo? C’è sempre il caso Gentile ad ammonirci da facili automatismi. Mentre al caso di Tullio Terni, ormai noto, aggiungiamo quello (assai me­no noto) di Mario Camis, grande fi­siologo ebreo, convertito al cattoli­cesimo nel 1930, poi sacerdote do­menicano, epurato per atti di squa­drismo compiuti «nei primi anni del regime» a Pisa, città che aveva la­sciato definitivamente nel 1913! Ma soprattutto la vicenda dell’epura­zione continua a fornirci un’imma­gine sempre più definita della cul­tura italiana del dopoguerra come eticamente impresentabile e so­stanzialmente corrotta nel suo Dna.

Giovanni Sedita, INTELLETTUALI DI MUSSOLINI, Le Lettere, pp. 254, € 20
Giorgio Israel, IL FASCISMO E LA RAZZA, Il Mulino, pp. 444, € 29
«Avvenire» del 10 luglio 2010

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