01 luglio 2010

Laica cultura e inimmaginabile fantasia di Dio

Sereni davanti alla Croce
di Davide Rondoni
Un ebreo in tribunale per difende­re il crocifisso. La storia, che Dio guida con fantasia per noi inimmagi­nabile, doveva riservarci anche que­sto. Aveva la kippah in testa, il tradi­zionale copricapo ebraico, Joseph Weiler, l’autorevole giurista della New York University, il difensore del croci­fisso. O meglio il difensore della sto­ria e della autentica laicità. Perché l’av­vocato che ha rappresentato il ricor­so di otto Stati su dieci alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, volto a difendere il diritto di esporre il cro­cifisso in luoghi pubblici nel nostro Paese non ha usato argomenti religio­si. Non ha poggiato le sue argomen­tazioni sulla sua o sull’altrui fede. No, ha parlato di storia, di diritto dei po­poli opposto alle sentenze di una Cor­te Centrale. Una requisitoria 'laica' per difendere il nostro più caro sim­bolo religioso. Perché il cristianesimo è una cosa del genere. Non chiede nes­sun diritto speciale per esistere. Gesù Cristo non ha chiesto nessun diritto speciale. E, analogamente, anche il se­gno della sua presenza non chiede di­ritti speciali. Ma d’esser trattato con argomenti laici, validi per tutti.
Per tutti i simboli (come ha sostenu­to Weiler) e per tutti i popoli. L’ebreo che ha difeso il crocifisso, infatti, non ha invocato argomenti particolari. Ha difeso il diritto di un popolo a espri­mere la propria storia con i propri sim­boli, senza cedere al ricatto di qual­cuno che in nome di logiche assoluti­ste e irrispettose della storia vuole far sparire quei simboli.
Anche solo il fatto che l’esponente au­torevole, e culturalmente ferrato, di u­na religione diversa dal cristianesimo abbia difeso il crocifisso basterebbe a smascherare tutte le fumose, faziose e in fondo banali motivazioni di chi non vuole più il crocifisso tra i piedi per­ché se ne sente 'offeso'. Weiler, che come ogni ebreo raffinato non ha ri­nunciato a ricorrere a paradossi e a i­ronie, ha fondato la sua difesa su una idea più storica, leale e aperta di lai­cità. Contro ogni riduzione 'fobica' della laicità ad avversione contro ciò che è religioso (e più precisamente cri­stiano).
Non sappiamo se l’arringa del profes­sor avvocato Weiler, uno tra i giuristi più stimati al mondo e uomo di vasta attenzione all’arte e anche alla poe­sia, avrà successo. Non sappiamo se i giudici della Corte Europea sapranno cogliere il valore delle sue argomen­tazioni. Non sappiamo se ci 'obbli­gheranno' a togliere i crocifissi dai luoghi pubblici, dando vita a un feno­meno di 'smontaggio' dei simboli sto­rici e costitutivi di un popolo da cui poi sarà difficile salvarne anche uno solo (perché via il crocifisso se urta, e non la bandiera, o le parole dell’inno, o le facciate dipinte, i monumenti ?).
Ci aveva avvisati il poeta Eliot: se mi­nate il fondamento di una cultura e di una storia, pensate che poi possano resistere a lungo i suoi frutti? Dall’av­versità al cristianesimo potrebbero es­sere travolti i frutti di civiltà di cui tut­ti godono senza magari neanche sa­perne l’origine. Non sappiamo cosa succederà. Forse dovremo tornare a rigare un crocifisso sui muri di nasco­sto, vicino ai luoghi di preghiera o di sofferenza. La fede non teme la scom­parsa dei crocifissi dai luoghi pubbli­ci, perché tale scomparsa non è una sconfitta della fede, ma della storia e della laicità. Però sappiamo una cosa: come dicono i nostri fratelli in uma­nità di fede musulmana, Dio è davve­ro grande se oggi un ebreo ha autore­volmente e appassionatamente dife­so il Crocifisso. E questo per noi che abbiamo una fede semplice, laica, per noi che abbiamo un cuore lieto e in allerta è già una vittoria. Ne ringra­ziamo Dio, e il professor Weiler. Se non dà troppo fastidio a certi opinion lea­der ci permettiamo di chiamarlo 'mi­racolo'.
«Avvenire» del 1 luglio 2010

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