21 giugno 2010

Quelle botte (da anziani) tra Pansa e De Benedetti

di Pierluigi Battista
Carlo De Benedetti (classe 1934) e Giampaolo Pansa (classe 1935) attraverso articoli e interviste si dicono cose tremende e si lanciano reciprocamente l'accusa emotivamente più cruenta: «anziano». «Anziano», ma anche «vecchio», che poi, visto il contesto di improperi, starebbe per svampito, svanito, obnubilato, cervello appannato. Credevamo di vivere nel regno della gerontocrazia inamovibile e invece scopriamo che questo, come quello di Cormac McCarthy, non è un Paese per vecchi (che si insultano). Sarà pure per l'asprezza di due vecchi (nel senso di antichi) sodali ora in rotta dopo essersi l'un l'altro apprezzati per decenni. O forse perché viviamo momenti di incattivimento molto pronunciato. Fatto sta che una frontiera della polemica è stata scavalcata in questa rissa a distanza tra Pansa e De Benedetti. L'editore di Repubblica e dell'Espresso, intervistato da Antonello Piroso a Verona, all' ex vicedirettore di Repubblica e condirettore dell' Espresso: un «frustrato», «una persona un po' anziana», di quelle che «inacidiscono un pochino e pensano che non hanno avuto quello che la vita gli doveva dare», un «poveretto» che è «invecchiato» (e due) addirittura «precocemente» visto che sperava, deluso, «di diventare direttore dell'Espresso». Ecco invece l' identikit di De Benedetti tracciato da Pansa su Libero: «un signore anziano», «invecchiato, frustrato e acido» (l'acidità è un'accusa speculare in questa polemica). Peggio: un editore che si è fatto scippare (politicamente) il suo giornale e che dunque può essere tranquillamente raffigurato, come infatti fa Libero, come un anziano pensionato che scambia la sua panchina per un trono. Un incrocio di crudeltà. C'è qualcosa che non torna. E non torna a cominciare dal fatto che l'uno dice all' altro di essere di un anno più anziano e quindi, come in una commedia in cui i vecchi svampiti fanno esattamente i vecchi svampiti, c' è qualcuno che ricorda male anche la propria data di nascita. C'è qualcosa che non torna in questo uso della parola «vecchio» (e dei suoi peggiorativi) perché rivela un inasprimento nelle abitudini polemiche anche tra due signori di una certa età ma di solida reputazione professionale. Quando dai banchi del centrodestra si ululava contro Rita Levi Montalcini e gli altri senatori a vita colpevoli di votare a favore del vacillante governo Prodi, molti hanno creduto che quella mancanza di riguardo per la vecchiaia fosse prerogativa di uno schieramento politico-culturale aduso a oltraggiare i Padri della Patria. Ma quel confine-tabù viene oltrepassato da persone insospettabili. Decade l' immagine del vecchio come scrigno di saggezza ed esperienza, roccia salda cui ancorare le disordinate effervescenze di una società che però sa ancora rendere omaggio al principio d' autorevolezza, se non proprio di autorità. Riaffiora invece lo stereotipo del vecchio bizzoso e perennemente litigioso, che vede nei coetanei un ostacolo e la personificazione di una rivalità immarcescibile. Che i protagonisti di questa ultima e fragorosa polemica siano due illustri personaggi divisi tra di loro al massimo da una dozzina di mesi rende peraltro questo slittamento ancora più marcato e macroscopico. Insultarsi come «vecchi» e «anziani» procura poi agli spettatori del battibecco una maligna e meschina soddisfazione. Una brutta storia. Una storia vecchia. Nel senso di antica.
«Corriere della Sera» del 16 giugno 2010

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