21 giugno 2010

Quando i greci non conoscevano i bambini

I rapporti familiari nell’antichità classica: dal padre-monarca alla prevalenza dello Stato con la dottrina platonica E solo con l’ellenismo i figli diventano persone
di Gian Enrico Manzoni
In che cosa consisteva il matrimonio nella Grecia dei secoli arcaici e in quella di Pericle?
Essenzialmente in un contratto di natura formale tra il padre della futura sposa e lo sposo, cui era connessa la consegna della dote. Il patto veniva stipulato senza la necessità del consenso dell’interessata, salvo i casi eccezionali, che la letteratura greca ci attesta proprio perché in controtendenza con la regola generale. Tale era dunque il gámos, quello che siamo abituati a tradurre come matrimonio: ma anche Aristotele nella Politica ci avverte che non esisteva un termine specifico per indicare il rapporto intercorrente tra il marito e la moglie. E sempre la testimonianza dell’antico filosofo ci permette di conoscere quella che era la prassi usuale ai suoi tempi: cioè di un rapporto del marito nei confronti della moglie equiparabile a quello di un uomo di Stato nei confronti dei cittadini, che si trasformava in un’autorità da monarca nei confronti dei figli. Leggiamo queste valutazioni giuridico-pedagogiche nell’ultimo saggio di Gabriella Severo, fresco di stampa presso la Studium di Roma.
L’autrice, docente di Storia della pedagogia, non è nuova alle tematiche di ambito familiare all’interno del mondo greco antico; in aggiunta, questo breve volume della studiosa è supportato dalla documentazione pittorica che l’arte greca ci ha lasciato sull’argomento.
Perciò ogni capitolo dell’analisi che abbiamo sotto gli occhi è corredato dalla descrizione e dalla riproduzione di alcune anfore, o di vasi e di piatti, che recano scene legate alla vita familiare. La tesi della Severo è che, alla complessa articolazione culturale dell’istituto familiare, diversa a seconda dei luoghi e dei periodi del mondo ellenico, subentrò, con l’utopia platonica della Repubblica ideale, la dissoluzione del legame della casa a favore di quello più ampio dello Stato. Era il segno dell’evoluzione di una mentalità che avrebbe trovato nell’età ellenistica la fotografia di tale disgregazione nelle commedie borghesi di Menandro.
Ma, accanto alla dissoluzione documentata nella teoria platonica, era esistita anche la sistematizzazione aristotelica, che aveva codificato i rapporti tra i diversi membri della famiglia, compresi quelli con i bambini, spesso accomunati agli animali, o considerati come uomini imperfetti.
Sarebbe toccato invece all’Ellenismo scoprire il ruolo e la peculiarità dell’infanzia, per cui risalgono solo al III-II secolo a.C. le prime documentazioni di uno sguardo sull’infanzia, comprensivo della sua autonomia, della specificità e della fisicità. Questo lavoro della Severo attiene da una parte alla letteratura greca, e dall’altra alla storia dell’arte e alla pedagogia. È in questi ultimi campi che si nota maggiormente la competenza dell’autrice, che si muove a suo agio nell’analisi della figura paterna, indagata sia nell’età arcaica, sia in quella più evoluta dei secoli V e IV, con le contraddizioni del caso: il disagio della paternità in Aristofane, la nostalgia della figura paterna in Euripide, nonché il recupero del padre in terra straniera, operato da Senofonte attraverso la Ciropedia, ovvero l’educazione del giovane persiano Ciro. Troviamo in questo saggio un bell’affresco storico­pedagogico che pone spunti di riflessione di natura educativa anche alla nostra quotidiana vita familiare.

Gabriella Severo, PATERNITÀ E VITA FAMILIARE NELLA GRECIA ANTICA, Studium, pp. 200, € 16,50
«Avvenire» del 19 giugno 2010

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