26 giugno 2010

Niente compassione per il dolore del feto, siamo inglesi

Due rapporti scientifici dimostrerebbero che entro le 24 settimane non sente nulla
di Valentina Fizzotti
Si può dire che un feto nella pancia della madre non sente nessun dolore prima della 24esima settimana ma non quali siano le patologie così gravi da poter giustificare un aborto (ovvero vanno bene tutte, la decisione sta solo alla coscienza del medico). Questo è il riassunto dei due lunghissimi rapporti, costati un sacco di incontri fra esperti, che il Royal College dei ginecologi e degli ostetrici ha consegnato al governo britannico. Ad avere qualcosa da ridire sui risultati, però, non sono soltanto i prolife più convinti, ma anche gran parte della comunità scientifica.
In Gran Bretagna la legge detta un limite per l’aborto su semplice richiesta, 24 settimane appunto. Negli ultimi anni sono stati però diversi i tentativi, su proposta di alcuni parlamentari conservatori, di abbassare la soglia a 20 settimane. Lo stesso David Cameron, che aveva sostenuto la riforma bocciata dal Parlamento nel 2008, ad aprile si era detto a favore di un abbassamento “a 20-22 settimane”. Ora, dopo la lettura del rapporto sulla percezione del dolore fetale (“Fetal Awareness - Review of Research and Recommendations for Practice”) il ministero della Salute si dice sempre pronto a ricevere ogni rapporto scientifico che possa illuminare sulla questione e una portavoce del premier si trincera dietro un “seguiamo la scienza”. Più che scienza, però questa sembra tanto azione politica. “E’ incredibilmente conveniente che il limite sia lo stesso di quello arbitrariamente stabilito per l’aborto”, dice Josephine Quintavalle, leader del thinktank Comment on Reproductive Ethics. Anche perché, con il cambio di maggioranza, i prolife britannici cercano di far arrivare in Parlamento una bozza che rimetta in discussione i termini della legge. E perché, guarda caso, fra gli esperti sentiti dal Royal College non c’era nessuno che esprimesse una posizione differente.
All’appello, in particolare, non manca una testimonianza qualunque, ma quella di uno dei massimi esperti internazionali in materia, il professore americano Sunny Anand. Lui, che non è cattolico ma laicissimo, dopo lunghi studi ha stabilito che è “altamente probabile” che il feto senta dolore già dalla ventesima settimana di vita. “Se curiamo i prematuri di quell’età è difficile concordare con il fatto che non sentano dolore – ci spiega Carlo Bellieni, nel Direttivo del Gruppo di studio sul dolore della Società di neonatologia. “Gli autori del rapporto sostengono che nell’utero il feto sia come anestetizzato, addormentato, ma questo sarebbe possibile soltanto se esistesse qualcosa all’interno del liquido amniotico che serve ad anestetizzare. Ad oggi però non siamo a conoscenza di niente del genere, anche perché se lo fossimo useremmo questa sostanza per lenire il dolore dei bambini. Da anni, poi, la comunità scientifica sta cercando di far capire a tutti che l’unica certezza che abbiamo sulle persone in stato vegetativo è che possono sentire il dolore, perché non è necessario che la corteccia cerebrale sia funzionante per provarlo. Eppure, questo studio sostiene che il feto non sente dolore prima delle 24 settimane perché la sua corteccia non è ancora sviluppata. Non soltanto le sperimentazioni citate dal rapporto sono state condotte su agnelli e non sull’uomo, ma abbiamo studi che dimostrano l’esatto contrario: mostrano che un feto può piangere, o che si sposta a contatto di uno strumento, per esempio quello usato per l’amniocentesi. E che sono sufficienti le connessioni con la parte più profonda del nostro cervello, il talamo, per sentire dolore”.
Il secondo rapporto, “Termination of Pregnancy for Fetal Abnormality in England, Scotland and Wales”, sembra avere una valenza politica ancora più marcata. In pratica si spiega che non esistono criteri-confine alla decisione di eliminare un feto dopo la diagnosi preimpianto o l’amniocentesi, né all’aborto tardivo. Alla domanda del governo britannico su quali fossero le patologie gravi (“anormalità fisiche e mentali che possono portare a un handicap grave”) che per legge permettono l’interruzione di gravidanza oltre la 24esima settimana, gli esperti hanno risposto: “Non si sa”. Nelle 45 pagine di rapporto si racconta, ad esempio, di due medici che sono stati assolti per aver praticato un aborto tardivo su un bambino affetto da labbro leporino: la patologia è pienamente operabile, è vero, ma i due medici hanno agito pur sempre ascoltando la loro coscienza.
«Il Foglio» del 26 giugno 2010

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