21 giugno 2010

Bavaglio alla Nutella

Chi vuol vietare la crema della felicità? La lobby dei burocrati salutisti e dei cioccolatai amari
di Mariarosa Mancuso
Sul menu di un ristorante di Berlino sta scritto, a firma Billy Wilder: “Non ho bevuto vino e non ho mangiato piatti appetitosi per una settimana. In sette giorni ho perso esattamente sette giorni di vita”. Vale anche per la Nutella, in tutte le sue declinazioni: spalmata sul pane, biscotto intinto nel barattolo, cucchiaiata senza impicci di fette biscottate, dita nel barattolo quando siete in beata solitudine. Se esistesse in tubetto, come reclama un fan club su Facebook, la si potrebbe succhiare come il latte condensato. I veri perversi la mettono nella crostata con gli Smarties. Qualcuno lo faccia capire ai signori della Ue, che vorrebbero dichiararla fuorilegge come il lardo stagionato nelle grotte (poco igienico), i formaggi fermentati (come sopra) o perlomeno far stampigliare sulle confezioni: nuoce gravemente alla salute.
Certo, fa ingrassare più dell’insalata scondita, ma rende anche parecchio più felici. E non ha mai dato adito agli articoli allarmati che ogni tanto calcolano i residui di psicofarmaci finiti nei fiumi, molto sopra il livello di guardia. La Nutella è perfettamente biodegradabile, non si conoscono danni da consumo passivo. Stare nella stessa stanza con un nutellomane, o un consumatore occasionale, provoca solo allegria (invidia se siete a dieta stretta, ma sono faccende private in cui la comunità europea non dovrebbe ficcare il naso).
Andrà a finire che, come già con le sigarette e prossimamente con il caffè, cancellerano la Nutella dai film. Vieteranno ai minori, e forse anche ai maggiori – secondo le autorità, siamo tutti bisognosi di tutela, dai nove ai novant’anni, anche se possiamo votare e magari uccidere i vicini chiassosi – “Bianca” di Nanni Moretti. La scena in cui Michele Apicella si sveglia di notte e – orrore – vede una donna addormentata nel suo lettuccio da scapolo. Prima cerca goffamente di abbracciarla, poi si alza nudo e va in cucina, dove campeggia un barattolone gigante, abbastanza per debellare ogni depressione passata, presente e futura. Cancelleranno dalla canzone di Giorgio Gaber le parole: “Se la cioccolata svizzera è di destra, la Nutella è di sinistra”. Vieteranno la pubblicità che diceva “che mondo sarebbe senza Nutella”, cercheranno nelle soffitte le collezioni di bicchieri decorati, relegheranno nel reparto dei libri proibiti “Nutella – Un mito italiano” di Gigi Padovani (uscito da Rizzoli nel 2004).
Verranno messe in galera le mamme convinte, come recitava un altro slogan della crema alla nocciola molte volte imitata e mai eguagliata (al pari dell’Ovomaltina e del Toblerone): “Nutella è sana per il tuo bambino oggi come per te allora”. E dovremo imparare a memoria, tipo “Fahrenheit 451”, “Nutella Nutellae” di Riccardo Cassini, che in latino maccheronico dettaglia: “Sbafatio Nutellae omnia divisa est in partes tres.
Unum: Sbafatio Normalis (in prima colatione cum supervisione mammarum).
Duum: Sbafatio Peccaminosa atque Clandestina (in absentiam mammarum quae uscitae sunt ad spesam faciendam).
Trium: Sbafatio Hitchcock (quando mamma praesens in alterum locum in casa, et habet suos cazzos faciendos, sed ab uno momento ad alterum retornare potest in cucina)”.
Giù le mani dai barattoli. E niente scritte minacciose. La libertà di Nutella deve essere garantita. Sennò cominceremo a sospettare che dietro l’orribile disegno ci sia la lobby dei cioccolatai chic. Quelli che producono polverose e amarissime tavolette di cacao al 90 per cento, riportando indietro la civiltà occidentale di svariati secoli. Bisogna abituarsi a poco a poco, sostengono. La Nutella ci è piaciuta subito, un motivo ci sarà.
«Il Foglio» del 17 giugno 2010

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