21 maggio 2010

Tolkien: nonall'oblio sulla teologia

di Alessandro Zaccuri
Nel 2003 due giovani studiosi, Lucio Del Corso e Paolo Pecere, pubblicarono da minimum fax L’anello che non tiene, un saggio in cui cercavano di spiegare come mai in Italia l’opera di J.R.R. Tolkien fosse stata annessa alla «cultura di destra», mentre nel resto del mondo Il Signore degli Anelli è stato da subito considerato come il ponderoso manifesto di una cultura libertaria. Libro assai discusso dai tolkieniani più irriducibili, L’anello che non tiene nasceva dal disagio che gli stessi autori confessavano di aver vissuto. Come mai, si erano domandati, pur essendo intellettuali progressisti, siamo tanti attratti da un romanzone pieno di spade, orchi e incantamenti? La domanda torna di attualità in questi giorni, alla vigilia del convegno su 'Tolkien e la filosofia' (in programma domani presso l’Hotel Raffaello di Modena: per informazioni www.istitutotomistico.it), all’interno del quale è previsto, tra l’altro, un confronto fra Andrea Monda e Wu Ming 4. Entrambi hanno esplorato la figura di Tolkien, ma da prospettive molto diverse. Monda, com’è noto, è autore di diversi saggi, in particolare L’Anello e la Croce (Rubbettino), che si presenta come lettura cristologica dell’epopea di Frodo & C.
Apprezzato solista dell’«ensemble» narrativo bolognese, Wu Ming 4 ha invece dedicato a Tolkien il romanzo Stella del mattino (Einaudi), che al contrario suggerisce un’interpretazione tutta orizzontale. Laddove Monda, partendo dal dichiarato cattolicesimo di Tolkien, ne rinviene decisive impronte strutturali nei testi, Wu Ming 4 parte dall’assunto che la fede religiosa di Tolkien (sulla quale, per inciso, non si sofferma troppo) non avrebbe alcuna importanza nella costruzione del Signore degli Anelli. Ora, il problema non è tanto di ordine filologico, ma riguarda direttamente lo statuto dell’epica, un tema che Wu Ming - inteso come collettivo, questa volta - ha affrontato nel discusso New Italian Epic (Einaudi) e che il medesimo Wu Ming 4 si appresta ad affrontare nel saggio L’eroe imperfetto, in uscita da Bompiani. Detto semplicemente, si tratta di stabilire se l’epica sia separabile dall’esperienza del mistero e se in questa stessa esperienza non sia, di per sé, riconoscibile un elemento di natura spirituale.
Per molti secoli questa duplice connessione (epica-mistero, mistero-spirituale) è stata evidente, ma nell’ultimo decennio è stata più volte messa in discussione. Non a caso, sia la trascrizione dell’Iliade proposta tempo fa da Alessandro Baricco, sia il blockbuster americano «Troy» hanno voluto cancellare la presenza degli dèi dai poemi omerici, come se nel XXI secolo non ci fosse più spazio per la dimensione del sacro. Tutt’al più, come suggerivano già alcuni passaggi di New Italian Epic, dalla teologia si possono prendere a prestito alcune allusioni linguistiche, svuotate però del loro più intimo significato. Che una visione di questo tipo sia applicabile all’opera di Tolkien potrà anche risultare suggestivo, ma francamente contrasta con il continuo richiamo a un sovrasenso spirituale da cui Il Signore degli Anelli è attraversato.
«Avvenire» del 20 maggio 2010

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