07 maggio 2010

Montale, occasioni e bugie di un amore

Escono da Mondadori le lettere del Nobel a Irma Brandeis conservate al Gabinetto Vieusseux
di Cesare Segre
La doppia vita del poeta e l’ironia sugli scrittori nella corrispondenza con «Clizia»
L’«incontro disastrosamente stupido» dell’estate 1933 fra Eugenio Montale, allora direttore del Gabinetto Vieusseux, e Irma Brandeis, giovane e luminosa letterata americana venuta a Firenze per conoscere il poeta, avrebbe potuto impedire la deflagrazione di quello che fu il grande amore di Montale: un amore che influenzò persino il cambiamento di stile riscontrabile nel passaggio dagli Ossi di seppia alle Occasioni . Per fortuna la tenace ammiratrice chiese un secondo incontro, e dopo pochi giorni i due erano investiti dalla passione. L’amore per Irma (1905-1990), che Montale indica col senhal Clizia, permea quasi tutta l’opera successiva del poeta, sino alle ultime composizioni, sino al discorso del 1975, per il Premio Nobel, dove la cita, proprio come Irma Brandeis, per i suoi lavori su Dante. Irma Brandeis aveva buone credenziali: studiosa, oltre che di Dante, del Medioevo latino, ma anche del Futurismo, insegnava letteratura italiana nel Sarah Lawrence College e frequentava la Columbia University di New York, dove abitava; scriveva su riviste importanti. A molti lettori di Montale il suo nome giungerà nuovo. Vi fu infatti, tra gli amici che tutto sapevano, un impegno a non rivelare chi fosse in verità l’ispiratrice Clizia, almeno prima della morte del poeta. E rimaneva misteriosa la sigla I.B., nella dedica delle Occasioni . Solo negli anni Ottanta del Novecento il segreto fu svelato (in particolare da Luciano Rebay). Più tardi, Paolo De Caro dedicò a Irma due importanti volumi.
Finalmente Rosanna Bettarini pubblica, con una elegantissima introduzione, le oltre centocinquanta lettere di Montale a Irma; mancano quelle di Irma, forse distrutte dal poeta, ma se ne indovina il tono dalle citazioni che ne fa Montale stesso, e da una lettera di Irma non spedita (Eugenio Montale, Lettere a Clizia, a cura di Rosanna Bettarini, Gloria Manghetti e Franco Zabagli, Mondadori, pagine XLVI-378, 25). Le lettere sono conservate presso lo stesso Gabinetto Vieusseux in cui avvenne l’incontro, dove fanno parte della Donazione Irma Brandeis.
L’evento è eccezionale. Potremo ora rileggere le poesie delle Occasioni , e in particolare «Costa San Giorgio», la splendida serie dei «Mottetti», «Palio», e così via, sulla filigrana di episodi anche minimi della vicenda erotica, narrata nella sua reale successione dalle lettere (così c’insegna a fare la Bettarini). Possiamo ricostruire il tessuto connettivo, le situazioni e gl’incontri raccontati nelle lettere e chiariti nelle note, precisissime. Possiamo osservare la fantasia nell’indicare con soprannomi spiritosi i conoscenti. Possiamo persino sentire la voce di Montale che spiega all’amica il senso e le allusioni di singole poesie che le ha spedito, e qualche volta le risentite dichiarazioni della donna che non vi si riconosce, o lamenta di essere persino contaminata con altre donne della memoria del poeta...
Se l’espressione del sentimento è il tema di base delle missive, va anche ricordato che si tratta di uno scambio epistolare fra due letterati, e che la fascinazione nasce pure dai sapori del racconto della quotidianità. Montale, grande affabulatore, è fecondissimo, qui, di schizzi di persone e incontri, di sapide maldicenze, ma anche di aneddoti estesi, che poi diventeranno racconti della Farfalla di Dinard , o che Irma viene invitata a trasformare in articoli per riviste americane. In più, queste lettere ci danno molti flash della vita culturale italiana negli anni che precedono la guerra, ci rappresentano i comportamenti non sempre dignitosi dei letterati rispetto alla corruzione prodotta dal regime.
A misurarla sul calendario, la passione dei due amanti ha avuto ben poco tempo per sfogarsi: due viaggi estivi di Irma in Italia (1933 e 1934), con gite a Venezia, Genova, Torino, Siena, e una terza apparizione nel 1938, quando il rapporto è già traballante, e Irma, tra le voci di guerra ormai minacciose, dà a Eugenio un addio che pensa, ed è, definitivo. Ma le lettere riempiono tutti i vuoti, ritmate anche dal sempre maggiore ricorso all’inglese (alcune sono completamente in quella lingua, non senza tentativi di scrittura poetica), e poi, con la crisi, dal ritorno all’italiano. Questa parabola coincide con curiosi cambiamenti nel modo di firmare (sempre comunque con le sole iniziali): sino alla fine del 1934 domina A., cioè Arsenio, uno degli eteronimi poetici di Montale; poi incomincia E., che significa forse non Eugenio ma Eusebio, soprannome di Montale per gli amici; alla fine, quasi con un distanziamento, si trova E.M., iniziali del nome all’anagrafe.
Qualche volta il lettore ha l’impressione di origliare o di ascoltare conversazioni troppo intime. Fatto sta che la precarietà degli incontri fra gli amanti, l’impossibilità di ufficializzare, o legalizzare, il loro legame derivano dalla presenza della Mosca (soprannome di Drusilla Tanzi), con cui Montale conviveva, e che nel 1963 sposò, poco prima della sua morte. Questa presenza, prima nascosta, poi confessata, è subito causa di grosse discussioni, e mette in rilievo insuperabili divergenze tra Montale e Irma. Irma ha una concezione borghese dell’amore, che va coronato, se possibile, col matrimonio; in più, romanticamente, vagheggia l’amore assoluto, eterno. Montale, trascinato dall’attrazione per Irma, non obietta, ma certo non sa condividere l’ottimismo che questi ideali implicano, la risolutezza che esigono. E ha ben presente, anche attraverso i trovatori, e Dante, e Petrarca, il potenziale poetico della distanza e del distacco (avrà pensato a Beatrice e a Laura); resiste, conscio della persistenza dei ricordi e dei sentimenti, all’idea di cambiare di sana pianta la sua vita, o peggio di trasferirsi in America, come Irma vorrebbe.
Così la Mosca, da ostacolo, si trasforma in pretesto. Non è certo gradevole cogliere il poeta mentre descrive le forme di comprensibile autodifesa della Mosca di fronte all’incombente abbandono: minacce di suicidio, invocazioni di pietà. E sfiorano il comico le reiterate assicurazioni di Montale a Irma: sarò libero fra tre mesi, o prima dell’estate, eccetera, con scadenze continuamente spostate lungo gli anni, sino a dare l’impressione di una totale inaffidabilità. Montale non vuol confessare un dato decisivo: che alla Mosca non è unito solo dalla riconoscenza per l’aiuto che gli ha dato in anni difficili, ma anche da un affetto profondo, che si scoprirà anni dopo (post mortem!) con le bellissime composizioni, queste sì matrimoniali, degli Xenia. Due vite ormai intrecciate, anche negli anni di Irma: alle mondanità che Montale descrive, lui e la Mosca partecipano insieme (come risulta, non certo dalle lettere, ma dalle annotazioni della Bettarini); persino al battesimo di un figlio di Vittorini, Eugenio e la Mosca sono i due testimoni.
Ma è meglio non almanaccare troppo su questa penosa vicenda, che mescola toni di tragedia borghese e storie di gelosia da rotocalco. Cerchiamo di evocare, anche grazie alle lettere ora stampate, la bella americana, le epifanie erotiche condivise con Montale, e poi torniamo a leggere le Occasioni e la Bufera, e a cogliervi le apparizioni della donna, trasformata dal poeta in una dea, portatrice di alti ideali e di salvezza.


Irma cara, è inutile che io continui a tacere nella speranza di un fiat a scadenza di poche ore. Ho già impedito (a torto o a ragione, chissà?) due suicidii, e ora mi prendo un po’ di riposo. Sono molto abbattuto moralmente, fisicamente e finanziariamente, quasi irriconoscibile. Non ho il coraggio di farmi vedere da Giovanna. Io non so che farò, non so nulla.
So (ed è cretino e criminoso il ripeterlo) che ti voglio, molto bene , disperatamente bene .E.

Mia cara Irma, se ubbidissi al mio istinto ti scriverei tutti i giorni, anche essendo, come sono, un cattivo epistolografo. Ma questa enorme città mi porta via tutto il tempo e alla sera non trovo né la pace necessaria né una penna decente... Sono contento che ti rivedrò tra pochi giorni - ma rattristato dalla tua prossima partenza. Dovrò passare un altro inverno imbecille a Firenze, senza essere neppur certo di rivederti la prossima estate. A.

«Corriere della sera» del 27 aprile 2006

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