21 maggio 2010

Minuscoli schiavi dell'uomo

di Piero Banucci
Dopo aver completato nel 2001 la mappa genetica dell’uomo, raggiungendo il gruppo di Dulbecco partito dieci anni prima, Craig Venter si imbarcò sul suo yacht.
Sì, ama la nautica, Venter, ma quella non fu soltanto una vacanza. Lungo la rotta che lo portò dal Pacifico all’Atlantico, dai mari tropicali a quelli polari, lo scienziato-imprenditore pescò una grande quantità di organismi marini, animali e vegetali, con una preferenza per i più elementari. Aveva in mente un chiodo fisso: stabilire quali siano le condizioni minime perché un organismo unicellulare possa svolgere le funzioni essenziali della vita: nutrirsi e riprodursi. Fatto questo, avrebbe potuto costruire il primo organismo artificiale, il più semplice, un organismo di grado zero. Innestando su di esso pochi altri geni ben precisi, avrebbe ottenuto batteri su misura al servizio dell’uomo. Minuscoli schiavi, invisibili e fedeli.
Funzioni fondamentali come mangiare e riprodursi, ragionava Venter, presuppongono un numero di geni limitato. Individuati questi geni, avrebbe potuto sintetizzarli. In fondo si trattava «soltanto» di combinare sequenze di quattro molecole - adenina, guanina, citosina e timina - infilandole nella doppia elica del Dna. Il campionario di minuscole creature rubate agli oceani gli avrebbe fornito i tasselli del bricolage genetico.
E’ ciò che Venter ha fatto tornando nella sua azienda, la Celera Genomics, con il bottino sottratto all’oceano. Da ieri sappiamo che è possibile prendere una cellula, privarla del suo patrimonio genetico estremamente complesso e mettere al suo posto un genoma ridotto ai minimi termini costruito in laboratorio sotto la guida di un computer. Ora incomincia la nuova sfida, quella che Venter definisce l’era postgenomica. Che cosa si potrà fare partendo dalla sua cellula artificiale?
Quasi non c’è limite all’immaginazione. Batteri che producono biocarburanti in sostituzione dei combustibili fossili in via di esaurimento. Batteri che generano energia partendo dai fotoni della luce solare imitando con più efficienza il meccanismo della fotosintesi. Batteri che divorano rifiuti. Batteri minatori che estraggono materie prime dal terreno. Batteri buoni che combattono batteri cattivi. Batteri da usare come cavalli di Troia infiltrandoli in tessuti malati, magari per aggredire il cancro. Batteri che ci liberano da gas a effetto serra come l’anidride carbonica e il metano, salvandoci così dal riscaldamento globale. E poi innumerevoli specie di tecno-batteri ognuna specializzata nel disgregare una particolare sostanza inquinante, a cominciare dal petrolio che sta soffocando la vita nel Golfo del Messico (per la verità batteri mangiapetrolio ottenuti con l’ingegneria genetica esistono già, ma si potrà fare di meglio).
Non sono cose che vedremo domani mattina. Però dal punto di vista concettuale non si vedono ostacoli. I biologi conoscono decine di migliaia di geni, di molti sanno esattamente che cosa fanno, quali proteine sintetizzano. Noi stessi siamo fatti con gli stessi geni di batteri, lieviti, moscerini, vermi. E’ come disporre di un gioco del Lego con decine di migliaia di pezzi: basta mettere il pezzo giusto nell’organismo artificiale ultra-semplificato, verificare che la nuova micro-macchina biologica funzioni secondo le attese e lasciarla moltiplicare. Ci vorranno anni, ma ci si arriverà. Nell’attesa però sarà bene ragionare su ciò che stiamo facendo. Questo non è un gioco a rischio zero. Venter, uomo d’affari spregiudicato, non ha mai dimostrato una spiccata sensibilità etica. La cellula artificiale è una grande conquista dell’intelligenza, stiamo attenti che non diventi una sconfitta per la Ragione.
«La Stampa» del 21 maggio 2010

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