19 maggio 2010

Meglio l’algebra o Shakespeare?

«Occorre trovare un equilibrio tra le esigenze dei campi del sapere, ugualmente legittime», dice il matematico Giandomenico Boffi, che lamenta: «La divisione tra le 'due culture' si instaura già alle superiori»
di Luigi Dell'Aglio
Giandomenico Boffi è, da pa­recchi anni, l’unico profes­sore ordinario di Algebra in ruolo presso una facoltà di Econo­mia in Italia (prima alla 'G. d’An­nunzio' di Chieti e Pescara, attual­mente alla Luspio di Roma). E già questo forse spiega la sua convinzione che il rapporto tra la cultura scientifica e la cultura umanistica non sia poi così squilibrato a favo­re della prima. Boffi contesta inol­tre che esista «una cosiddetta cul­tura scientifica» contrapposta a «u­na cosiddetta cultura umanistica». Per essere più persuasivo, cita l’a­neddoto che ha come protagoni­sta Charles P. Snow, scienziato e scrittore inglese. Quando in una conversazione veniva fuori la questione dell’'ignoranza' degli scien­ziati nelle materie umanistiche, Snow faceva un piccolo esperi­mento.
Domandava ai suoi colle­ghi umanisti: quanti di voi cono­scono la seconda legge della ter­modinamica? e che cosa sapete della massa o dell’accelerazione? Silenzio imbarazzato. Allora lui: «Sul versante umanistico, allo stes­so livello di difficoltà, è come se io vi avessi chiesto: avete letto un’o­pera di Shakespeare? sapete legge­re? ». E quelli restavano confusi. Boffi coordina da anni a livello na­zionale un gruppo di scienziati, fi­losofi e teologi, nel quadro del pro­getto Sefir (Scienza e fede sull’in­terpretazione del reale) che perse­gue un approccio interdisciplinare alla realtà.
Professore, conoscenza scientifi­ca e conoscenza umanistica dis­sotterrano l’ascia di guerra? «Scientismo» da un lato e «uma­nesimo » dall’altro sarebbero ai fer­ri corti. È una voce che gira.
«La dissociazione tra conoscenza scientifica e conoscenza umanisti­ca è stata dannosa, come osserva­va Snow parlando delle cosiddette 'due culture'. E ancora non abbia­mo valorizzato in modo equilibra­to tutte le sfaccettature della cultu­ra umana, che è unica. Ma non so­no dell’idea che sia in corso una particolare ripresa delle ostilità. E comunque non identificherei i due contendenti con le parole scienti­smo e umanesimo, che tra l’altro richiedono una definizione accu­rata ».
L’umanesimo è una tendenza di pensiero che esalta il valore e la di­gnità dell’uomo e si propone la for­mazione completa, integrale, del­la persona umana, ponendo ac­canto alla scienza e alla tecnolo­gia l’educazione di tipo filosofico, letterario e artistico, basata sui classici. Questa posizione sarebbe sotto attacco da parte di ideologie che propugnano l’egemonia della scienza in tutti i campi.
«Se si pensa all’umanesimo in ter­mini così vasti, che comprendono sia la conoscenza umanistica che quella scientifica, dubito che ci sia oggi molta gente che lo voglia at­taccare consapevolmente. I pro­blemi possono nascere piuttosto dal significato che si attribuisce al­le espressioni 'formazione inte­grale', 'persona umana'».
Esiste una pressione tendente a ri­durre, nelle scuole, lo spazio dei classici, la cui funzione educativa è innegabile?
«Non direi che si eserciti una forte pressione di questo genere, ma che ci sia la rinnovata consapevolezza che il sapere umanistico non è l’u­nica componente dell’umanesimo ampio poco fa da lei tratteggiato. Personalmente riconosco volen­tieri la funzione educativa dei clas­sici (tra i quali inserirei la Bibbia), ma attribuisco una forte valenza e­ducativa anche alla matematica e alle scienze. Occorre trovare un de­licato equilibrio tra esigenze altret­tanto legittime. E si possono nutri­re opinioni diverse sulle soluzioni concrete. Anche all’epoca di Gio­vanni Gentile si manifestarono dis­sensi importanti. Vito Volterra non approvava la penalizzazione inflit­nalità ta agli insegnamenti di matemati­ca e scienze, persino nel liceo scientifico ».
Molti sostengono che, nella for­mazione dello scienziato, l’inse­gnamento delle scienze umane (della filosofia, in particolare) ab­bia oggi scarso rilievo.
«Se ci riferiamo all’insegnamento impartito nelle facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, di ingegneria e simili (frequentate per lo più da giovani che non saranno scienziati) non credo che la margi­nella sia sorprendente. È margi­nale anche la matematica in tanti corsi di studio di scienze sociali e u­mane. Questa situazione riflette il modello tradizionale della nostra università (diverso da quello an­glosassone). L’idea che lo ispira è che si acquisisce una cultura gene­rale nella scuola secondaria e che all’università ci si concentra su di­scipline specialistiche».
Intravede uno spiraglio per ga­rantire anche all’università un ruolo delle discipline umanistiche formazione dello scienziato?
«Un significativo spazio di dialogo fra scienze umane e scienze 'dure' è stato aperto con l’introduzione, dieci anni fa, di una quota di crediti universitari a scelta completamen­te libera dello studente. Forse que­sto spazio non è stato ancora ben sfruttato. La vita accademica, poi, si compone anche di tanti mo­menti formativi, istituzionali e non, che sono sganciati dall’insegna­mento ufficiale, ma risultano u­gualmente importanti. Non dob­biamo infine dimenticare che una formazione profondamente spe­cialistica è oggi indispensabile per ogni studioso che voglia raggiun­gere livelli riconosciuti su scala in­ternazionale ».
Secondo alcuni, c’è il rischio che il ricercatore, se nella sua formazio­ne non si è arricchito e completa­to con il contributo delle discipli­ne umanistiche, possa arrivare a praticare un tipo di scienza non solo anti-umanistica ma «anti­umana ».
«Non ritengo che abbia molto sen­so parlare di una scienza che sia 'anti-qualcosa' di per sé. Credo tuttavia che, quando la formazione di uno studioso è troppo unilate­rale (si tratti di uno scienziato ca­rente sotto il profilo umanistico, o di un umanista carente sotto il pro­filo scientifico), ci sia effettiva­mente il pericolo di atteggiamenti non coerenti con l’ideale di uma­nesimo prima tratteggiato. Più pre­cisamente, credo che ogni perso­na colta - accanto alla necessaria specializzazione professionale ­dovrebbe avere qualche dimesti­chezza con i classici, con la mate­matica e le scienze, con le arti, con la teologia. Ma attenzione: forse so­no più numerosi gli umanisti ca­renti di formazione scientifica, che gli scienziati carenti sotto il profilo umanistico. E la diffusa ignoranza in merito ad aspetti anche ele­mentari della scienza contribuisce non poco a propagare modi di pen­siero scorretti in merito al signifi­cato della scienza stessa».
E infine: l’Europa non sembra in­teressata a riproporre i classici co­me modelli di conoscenza...
«Sempre tenendo presente che l’u­manesimo va ben al di là del solo sapere umanistico, si nota soprat­tutto incertezza sulle caratteristi­che dell’umanesimo europeo. Ad un umanesimo pieno non bastano infatti i classici, e neppure i saperi scientifici, le arti. Occorre una vi­sione sinfonica di tutto questo, e che sia aperta a Dio».
«Avvenire» del 19 maggio 2010

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