19 maggio 2010

E. Montale, Iride

Quando di colpo San Martino smotta
le sue braci e le attizza in fondo al cupo
fornello dell’Ontario,
schiocchi di pigne verdi fra la cenere
o il fumo d’un infuso di papaveri
e il Volto insanguinato sul sudario
che mi divide da te;

questo e poco altro (se poco
è un tuo segno, un ammicco, nella lotta
che me sospinge in un ossario, spalle
al muro, dove zàffiri celesti
e palmizi e cicogne su una zampa non chiudono
l’atroce vista al povero
Nestoriano smarrito);

è quanto di te giunge dal naufragio
delle mie genti, delle tue, or che un fuoco
di gelo porta alla memoria il suolo
ch’è tuo e che non vedesti; e altro rosario
fra le dita non ho, non altra vampa
se non questa, di resina e di bacche,
t’ha investito.

*

Cuore d’altri non è simile al tuo,
la lince non somiglia al bel soriano
che apposta l’uccello mosca sull’alloro;
ma li credi tu eguali se t’avventuri
fuor dell’ombra del sicomoro
o è forse quella maschera sul drappo bianco,
quell’effigie di porpora che t’ha guidata?

Perché l’opera tua (che della Sua
è una forma) fiorisse in altre luci
Iri del Canaan ti dileguasti
in quel nimbo di vischi e pungitopi
che il tuo cuore conduce
nella notte nel mondo, oltre il miraggio
dei fiori del deserto, tuoi germani.

Se appari, qui mi riporti, sotto la pergola
di viti spoglie, accanto all’imbarcadero
del nostro fiume – e il burchio non torna indietro,
il sole di San Martino si stempera, nero.
Ma se ritorni non sei tu, è mutata
la tua storia terrena, non attendi
al traghetto la prua,
non hai sguardi, né ieri né domani;

perché l’opera Sua (che nella tua
si trasforma) dev’esser continuata.

Questa lirica è il culmine - secondo i critici - dell'intera poesia montaliana, «questo frutto così maturo della linea poetica metafisico-simbolista» (M. Forti). Ma anche il perpetuarsi della simbologia della donna.
Il viaggio di Montale, iniziato in una terra «rovente» e calcinata. in una «selva oscura» per la troppo «abbagliante» luce degli Ossi, e passato per l'«incontro» delle Occasioni, attraversa all'inizio della Bufera la strada «infernale o purgatoriale» (M. Forti) di un cosmico e personale dramma storico: è la serie delle «poesie di Finisterre, che rappresentano la mia esperienza, diciamo così petrarchesca», come afferma il poeta. «Nell'incubo degli anni '40-'42» egli si affida alla memoria della sua «iddia che non s'incarna» (Gli orecchini) della sua petrarchesca Laura. Ma negli anni successivi, a partire da Iride che è nel '43-'44, il viaggio del Nostro assume una fisionomia dantesca: Irma Brandeis acquista sempre più i connotati di Beatrice (che nel Paradiso terrestre compare a Dante in un'alba rosea e «vestita di color di fiamma viva»).
Il primo nome con cui è cantata è Iride appunto: un nome che nella mitologia greca identificava l'alata messaggera degli dei e che in Montale porta a compimento precedenti intuizioni poetiche della Bufera. Alata «trasmigratrice Artemide ed illesa, / tra le guerre dei nati-morti», la cui fronte «si confonde con l'alba» in Giorno e notte è «visiting angel» (l'Arcangelo Gabriele dell'Annunciazione), «Cristòfora», portatrice di Cristo, nel relativo autocommento in cui il poeta spiega: «perché la visitatrice annunzia l'alba? Quale alba? Forse l'alba di un possibile riscatto, che può essere tanto la pace quanto una liberazione metafisica».
Il «simbolo» delle Occasioni evolve dunque nella Bufera in «mito». Funzionali a questa elaborazione sono tutte le implicazioni semantiche che confluiscono e si raggrumano nel polivalente termine «Iride»: col significato di farfalla è «tardi uscita dal bozzolo, mirabile / farfalla» (mentre il poeta si è specchiato nell'imbozzolata Crisalide) in Per un "Omaggio a Rimbaud"; come membrana dell'occhio è frequentatissimo segno salvifico della donna (dal «bagliore dei tuoi cigli» di Su una lettera non scritta, alla «luce dei tuoi occhi» di Giorno e Notte, fino a Verso Finistère ove lo sguardo dell'ispiratrice, «l'arco del tuo ciglio» è l'unico tramite fra il poeta e Dio: «Forse non ho altra prova / che Dio mi vede e che le tue pupille / d'acqua marina guardano per lui»). Ma l'asse portante della mitica elaborazione narrativa è proprio nella lirica Iride, in cui la donna Cristòfora che - come illustra il poeta - «aveva lasciato l'oriente per illuminare i ghiacci e le brume del nord, torna a noi come continuatrice e simbolo dell'eterno sacrificio cristiano. Paga lei per tutti, sconta per tutti. E chi la conosce è il Nestoriano, l'uomo che meglio conosce le affinità che legano Dio alle creature incarnate, non già lo sciocco spiritualista o il rigido e astratto monofisita». Ecco dunque il cuore della lirica: l'ebrea-cristiana, sradicata dalla sua terra di «Galilea» e in diaspora nella sua missione apostolica dal nord-Europa al nord-America, rivive nella sua carne il redentivo e «cattolico» (cioè universale) sacrificio di Cristo. Ed il poeta si rispecchia nel «Nestoriano», l'eretico che privilegia l'umanità di Gesù sulla sua divinità.

Vediamo il contenuto di questo non facile testo (di cui non pretenderemo di parafrasare ogni particolare: Montale stesso ha riconosciuto «gli appunti di “obscurisme”» che gli erano stati mossi, definendola l'unica sua poesia «onirica»: «Iride è una poesia che ho sognato e poi tradotto da una lingua inesistente: ne sono forse più il medium che l'autore»).
Entro l'orizzonte bellico (il «naufragio» di italiani ed ebrei) dal Canada, dove la donna si trovava, giungono al poeta pochi segni di lei: emblemi vegetali («pigne verdi» e «papaveri», come poi «resina e bacche» e infine «vischi e pungitopi»), ma soprattutto un segno sacramentale, il «Volto insanguinato sul sudario» (ove la maiuscola non lascia dubbi sul riferimento al Cristo) che dà speranza a Montale in un tempo di braccio di ferro con la morte («ossario»). Quel «Volto» è un «segno» che li unisce, eppure «li divide»: ha portato la donna lontano, almeno fisicamente, dal poeta. Questo tema del Redentore, asse portante della lirica con il suo potente crescendo, è ripreso nella seconda parte: dopo un'allusione all'episodio evangelico di Zaccheo («sicomoro») il «Volto insanguinato sul sudario» di Cristo torna come «maschera sul drappo bianco» ed «effigie di porpora» a guidare la missione di Iride, poi spiegata.

Siamo al “cuore” della lirica. Il poeta si rivolge alla donna con l'appellativo che dà il titolo al resto: «Iri del Canaan», Arcobaleno della Terra Promessa; luminoso, coloratissimo ponte tra la terra e il cielo; strada, dopo la tempesta, verso la salvezza. Ma perché la donna si è dileguata, ed è ora lontana dal poeta? Accostiamo le due perentorie risposte a distanza:

1) Perché l'opera tua (che della Sua / è una forma)
fiorisse in altre luci

2) Perché l'opera Sua (che nella tua / si trasforma)
dev'essere continuata.

Evidentemente è la struttura di iterazione più "variatio" che, nel ribadire un'idea (iterazione), ne modifica e approfondisce alcuni aspetti ("variatio"). Vediamoli:

1) la variatio più marcata è «fiorisse in altre luci» - «dev'esser continuata»: Iride ha dunque seguito il Crocifisso;
a) perché il suo annuncio si diffondesse nello spazio;
b) perché continuasse nel tempo.

2) Meno evidente ma teologicamente forse ancor più significativa è la "variatio" contenuta in parentesi e retoricamente sottolineata dal chiasmo «tua Sua - Sua tua»: l'accento passa dal punto di vista ascendente (Iride che riconosce il proprio lavoro come «una forma» della presenza del divino sulla terra) a quello discendente (è il divino che prende l'iniziativa di far coincidere il proprio volto con quello di Iride e attraverso lei rendersi incontrabile); potremmo dire che l'accento passa dalla generosità personale alla più vincolante obbedienza di fronte a una evidenza.

3) La variatio grafica, nel passaggio dal "tondo" al "corsivo", accorgimento con cui Montale evidenzia i termini decisivi, rende ancor più perentoria questa conclusione.

Postato il 19 maggio 2010

1 commento:

  1. Montale qui si eleva alle altezze dello Spirito universale, a quel Cristo Logos giovamento che fa ogni cosa e, per farla, e far continuare il mondo, deve "morire" ovvero incarnarsi. Che sia la donna la messaggera e l'icona della grande opera, indica che è la "terra" il femminile l'alveo di ogni realizzazione. Ma realizzare implica un continuo dissolvimento, chiede un ossario. Sublime.

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