13 aprile 2010

Lettera sulla scimmia

Massimo Piattelli Palmarini scrive al Direttore del Foglio
di Massimo Piattelli Palmarini
Il disegno intelligente non è abbastanza intelligente, la scienza è una meravigliosa avventura ma non è lei che decide le nostre scelte culturali e metafisiche. Ci scrive PP, co-autore del libro che agita i neodarwinisti
Al direttore - L’editoriale della prima pagina del Foglio del 9 aprile così conclude, penso in parte come una boutade e una provocazione: “Sarà la rivincita del disegno intelligente? Si può dire per certo che non è tra le vittime”. Pur esprimendo sincera gratitudine per le molte cortesie riservate dal Foglio al mio co-autore, Jerry Fodor, e a me, vorrei ribattere con una contro-boutade. Sì, anch’esso è una vittima, perché dubitiamo che ci sia in natura un qualsiasi disegno e anche se ci fosse non sarebbe molto intelligente. Gli esseri viventi abbondano di pasticci poco eleganti, come i geni per lo sviluppo dell’occhio nei ricci di mare, che occhi non hanno e, sempre nei ricci di mare, geni per la fabbricazione di anticorpi, anch’essi assenti in quella specie.
Molti altri sono gli esempi di geni presenti, ma inespressi, di organi inutili e di percorsi anatomici assai tortuosi, in molte specie. Questi dati di fatto fanno vittima la selezione naturale, ma anche l’idea di un disegno intelligente. Nel nostro libro (“Gli errori di Darwin”, Feltrinelli) sottolineiamo anche esempi di soluzioni perfette in biologia, dovute alle leggi della fisica, della chimica, dell’auto-organizzazione e altri principi di base che ancora ci sfuggono. Queste perfezioni si accompagnano a quegli sgorbi di natura. Così è la vita sulla terra e così, per ora almeno, dobbiamo pensarla.
Questa perenne compresenza di tratti e di tendenze tra loro contraddittori mi portano a un commento su un tema che è emerso nelle recensioni al nostro libro e nei blog relativi, sia in Italia che nel mondo anglosassone. Il tema, che nel libro non trattiamo, è l’appartenenza della nostra specie al resto del mondo animale, di contro all’unicità dell’essere umano. I neo-darwinisti, per loro vocazione, enfatizzano la continuità tra l’uomo e le bestie e ne traggono infelici “lezioni” sui comportamenti umani, l’estetica, la morale e la religione. Certo, condividiamo moltissimi geni con molte altre specie, giù giù fino al moscerino della frutta e al riccio di mare. Per non parlare, che so io, del coniglio, della tigre, della balena e dei tanto studiati scimpanzé e gorilla. Se è per questo, abbiamo in comune con i sassi e le nuvole e quant’altro esiste gli atomi tratti dal repertorio universale dei 92 elementi chimici.
Ma siamo anche diversi da tutto ciò, molto diversi. Il nostro giudizio su questa profonda ambivalenza, le “lezioni” da trarre da queste opposte considerazioni sono nostri, e tutt’altro che ovvi. La biologia ci dà segnali opposti e non si può sperare di essere esentati dal fare una scelta culturale, metafisica, morale, estetica, atea o religiosa. La scelta è nostra ed è ardua. Sta a noi decidere, magari diversamente da un secolo all’altro, diversamente da una cultura all’altra, da un’ideologia all’altra, se e quanto apparteniamo al resto della natura o invece da essa ci distacchiamo. La scienza è una meravigliosa avventura, sempre in movimento, sempre rinnovantesi, ma non dobbiamo sperare che le sue scoperte e le sue teorie decidano in vece nostra su questo importantissimo dilemma. Grazie per l’attenzione e per lo spazio che amabilmente mi riserva.
«Il Foglio» del 13 aprile 2010

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