11 aprile 2010

La maledizione di Katyn

di Gabriel Bertinetto
L’analogia è troppo evidente per non essere immediatamente rilevata dai cittadini polacchi. Oggi come 70 anni fa, a Katyn, parte della classe dirigente nazionale scompare di colpo in circostanze violente. Nel 1940 fu per un disegno criminale degli occupanti sovietici, e nelle fosse comuni finirono 22mila intellettuali arruolati nell’esercito polacco come ufficiali. Nell’aprile del 2010 è la fatalità a portarsi via in una sciagura aerea numerosi altissimi esponenti del governo e delle forze armate che proprio a Katyn erano diretti per commemorare il sacrificio dei connazionali trucidati durante la seconda guerra mondiale.
Il paragone corre sulla rete e la parola che più ricorre sui blog è «decapitazione». Per qualcuno Katyn «forse è un posto maledetto», per altri è solo una tragica «ironia della sorte». L’eccidio di Katyn fu perpetrato nella cornice di un’orrenda messa in scena ordita dal famigerato capo del Kgb Beria. I carnefici non dovevano sporcarsi le mani. La responsabilità sarebbe stata altrui. Per rendere la cosa credibile, gli autori presunti del massacro dovevano essere elementi di provata ferocia. In quel periodo tragico della storia europea Stalin e Hitler spadroneggiavano in Polonia, dopo essersi spartiti le rispettive aree di influenza. Se la Polonia era un condominio nazi-sovietico, il boia cui attribuire il misfatto, Beria ce l’aveva in casa. Fu tutto preparato meticolosamente avendo cura che l’arma del delitto recasse un’impronta inequivocabile. Il colpo alla nuca con cui uno dopo l’altro vennero assassinati i prigionieri partì da pistole Walther Ppk, in dotazione all’esercito tedesco.
Così per decenni la strage di Katyn non fu che uno dei tanti misfatti nazisti. Finché nel 1990 Gorbaciov lasciò che la verità venisse fuori. Nel 2005 un’inchiesta si è conclusa individuando i responsabili, tutti deceduti. Quale orribile ragion di Stato spinse a trucidare 22mila capi di un esercito ormai sgominato? Stalin voleva privare la nazione polacca della sua elite dirigente. Oltre che militari i condannati erano in maggioranza medici, professori, avvocati, reclutati come ufficiali della riserva in base alla legge di coscrizione dell’epoca. In loro Mosca vedeva il nucleo della potenziale futura leadership di una resistenza nazionale all’oppressione.
«L'Unità» dell'11 aprile 2010

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