11 aprile 2010

Gao La resa del dissidente

di Angelo Aquaro
L'uomo che fu umiliato, picchiato, torturato e incarcerato, l'avvocato cinese che gli attivisti americani volevano candidare al Nobel, il dissidente che New York aveva promesso di accogliere, adesso abbassa gli occhi gonfi di lacrime e dice basta, mi arrendo, non lotto più. Gao Zhisheng, l'ultimo ribelle di Pechino, l'ex minatore che si laureò di notte per difendere i diritti degli ultimi, degli oppressi, dai cristiani perseguitati ai seguaci del Falum Gong fuorilegge, è riapparso un anno dopo la scomparsa misteriosa e ha scelto un giornalista rigorosamente anonimo dell' Associated Press per mandare il suo messaggio in codice al regime: mi arrendo, lasciatemi riabbracciare la mia famiglia. «Voi sapete benissimo che la mia vita passata non è stata per niente normale: adesso basta, devo rinunciarci». E poi, senza girarci tanto su: «Voi sapete anche che il motivo principale di questa scelta è il bene della mia famiglia. Spero di riunirmi con loro. I miei bambini hanno bisogno di avermi al mio fianco». Il mondo tutto avrebbe bisogno di riaverlo al suo fianco. Sa anche questo, Gao Zhisheng. Per lui si erano mossi quelli di Human Rights. Era stata proprio Human Rights China a far uscire in America, nella primavera di tre anni fa, quel memoriale shock che il dissidente aveva scritto su centinaia di foglietti di carta. «Mi dicevano che dovevo provare il trattamento riservato ai miei assistiti». E giù con le scariche elettrice ai genitali, gli stuzzicadenti infilati nel pene, le sigarette spente su tutto il corpo. «Quando, dopo molto tempo, sono riuscito a riaprire gli occhi, il mio corpo era irriconoscibile: non un centimetro risparmiato». La storia di Gao aveva fatto strabuzzare gli occhi anche al resto del mondo abbagliato dai progressi del Drago cinese. E nei giorni della guerra Usa-Cina il suo caso era riesploso sui giornali americani: un'altra battaglia di libertà nella sfida su Google e il Dalai Lama, dopo lo scontro sulla vendita di armi a Taiwan e sullo yuan mangiatutto. Oggi, però, Pechino sta finalmente per cedere sull'apprezzamento dello yuan, il segretario al Tesoro Tim Geithner fa pacificamente tappa nella Città Celeste e il presidente Hu Jintao cede a Barack Obama e accetta di venire a Washington per il summit sul nucleare che condannerà l'Iran: quanto può essere politicamente utile riaprire, adesso, la pratica di quel dissidente disperato? Gao si affida proprio agli americani dell' Ap per chiudere la partita. Chi l'ha incontrato in una casa del tè vicino al suo appartamento, nella zona nord di Pechino, racconta di averlo trovato, a 42 anni, più smunto, emaciato, la voglia di combattere e l'infaticabile parlantina solo un ricordo. «Non ho la capacità di perseverare. Certo, è il mio passato. Ma il mio passato ha danneggiato le persone che amo.E questa mia scelta definitiva, dopo profonde riflessioni, cerca solo di riportare un po' di pace e un po' di calma». La moglie e i due bambini scapparono per sfuggire alla persecuzione. Poi sparì anche lui. Nascosto? Prigioniero del regime? Quando è riapparso, la settimana scorsa, la prima telefonata è arrivata da un monastero buddista: gao chiedeva solo di essere lasciato in pace. Ora, invece, la resa. «Non è un'intervista, questa» dice «è solo una chiacchiera». Un altro segnale: Gao è sotto ricatto. «Tutti si sentiranno delusi, lo so. Quanta gente che mi è stata vicino, mi ha sostenuto. Quanti appelli. So che quando queste persone leggeranno le mie parole saranno terribilmente deluse. E' a loro che chiedo scusa: sono profondamente dispiaciuto». Lui, la vittima, che chiede scusa? Il messaggio di Gao Zhisheng - ai suoi aguzzini cinesi, al mondo che sta guardare - è tragicamente chiaro. «Ho perso il controllo delle mie emozioni. Per me, mia moglie e i mie due figli erano le persone più care al mondo». Si ferma. «Ora siamo come un aquilone con una corda spezzata». Chi salverà il cacciatore di aquiloni di Pechino?
«La Repubblica» del 9 aprile 2010

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