09 aprile 2010

Cheong: Una fede modello Twitter

Cyberfuturo
di Andrea Galli
La linea tra il faceto e il serio può essere molto sottile. «In cosa credi? Fai una dichiarazione di fede in 140 caratteri» è una delle sfide che sono state lanciate tempo fa su Twitter, col nome di "Twitter of Faith", e che ha generato una valanga di risposte. Tra cui si potevano trovare «alcune sintesi di verità teologiche efficacissime, in frasi memorabili», spiega Paulina Hope Cheong, docente alla Hugh Downs School of Human Communication dell’Università dell’Arizona e che si occupa del rapporto tra cultura digitale e fedi religiose.
Pensando al microblogging, di cui Twitter è sicuramente il simbolo, fede e vita ecclesiale non vengono in mente come primo campo di applicazione...
«I cristiani evangelici stanno sviluppando in modo frenetico simboli e contenuti "cinguettio" per incentivare la condivisione, la moltiplicazione e la ricerca di contenuti di fede online. Twitter è un nuovo mezzo per comunicare e rimanere interconnessi attraverso lo scambio di frequenti e brevi risposte a una domanda: "Cosa stai facendo?". Alcuni evangelici, appunto, stanno sfruttando questo flusso di messaggi per rafforzare le proprie comunità attraverso una forma di preghiera sincronizzata. Il Calvin Institute of Christian Worship, per esempio, ha creato una pagina su Twitter con l’inserimento automatico e continuo di materiale per la preghiera delle ore, un’idea ispirata al "pregate ininterrottamente" della prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi. Alcuni leader religiosi stanno utilizzando Twitter per avere un riscontro dei loro sermoni domenicali. Alcuni lo usano durante le stesse celebrazioni, spronando i fedeli a riflettere sui contenuti della predica e a commentarli in diretta, per non rimanere uditori passivi».
Lei ha scritto dell’esistenza di un blogging religioso che si avvicina a «un’esperienza contemplativa», molto lontana dall’immagine che si può avere comunemente dell’attività su un blog. In che senso?
«Uno studio a cui ho partecipato sui blog religiosi e pubblicato sul Journal of Media and Religion mostra come vi siano blog caratterizzati da una particolare serietà nell’espressione e nella riflessione dell’esperienza di fede. Il blogging può presentarsi sotto molte forme: per alcuni è un semplice modo di raccontare la propria vita quotidiana, per altri è uno spazio di profonda riflessione teologica e di forte esperienza religiosa. Tra l’altro, questa comunicazione e questa confessione pubblica di fede possono poi spingere altri a discutere su blog vari o su Facebook di temi religiosi».
In uno studio sui cristiani di Singapore lei ha messo in evidenza che laddove è più forte il coinvolgimento ecclesiale, maggiore è l’attitudine a usare i nuovi media per scopi di apostolato. Pensa che l’impegno sul web possa essere un nuovo indicatore della vivacità spirituale di una comunità?
«Non penso che l’uso di internet di per sé sia una spia affidabile per quanto riguarda la fede o la spiritualità. Tuttavia fornisce un’indicazione illuminante di come singoli o organizzazioni implementino le proprie attività offline con quelle online, creando sinergie tra queste realtà. Su un altro piano, posso dire di avere intervistato molte personalità religiose e diverse di loro hanno espresso la necessità che la propria organizzazione sia attiva sulla Rete, con una forte "presenza digitale": perché è percepito come un segno di "crescita" spirituale il fatto che persone prima lontane si avvicinino o finiscano per far parte di una Chiesa dopo averne visitato il sito».
Abbiamo avuto per secoli missionari che si preparavano anni per portare il Vangelo in Paesi lontani a popolazioni non cristiane. Quanto è percepita – per esempio nel mondo americano – l’esigenza di formare missionari per il web? Vede in questo un ritardo del mondo cattolico rispetto a quello protestante?
«I protestanti sono molto attivi, direi quasi imprenditoriali nel loro utilizzo di internet, con siti multimediali, all’avanguardia, di forte impatto. In questo momento sto studiando come trecento mega-chiese cristiane in Usa e altrove stiano usando i nuovi media e il microblogging – tipo Twitter – per far crescere le proprie comunità. Molte chiese hanno siti piuttosto sofisticati, con incluse librerie online dove si possono acquistare libri, testi di sermoni e altri prodotti, così come fare donazioni o versare l’obolo. In termini di "competizione" nel "mercato" religioso si percepisce l’urgenza di avere un profilo attraente sul web. Per quanto riguarda il mondo cattolico, ci sono anche qui molte realtà che hanno sviluppato applicazioni interessanti – dalla direzione spirituale online a varie possibilità di pregare sul web –, ma ce ne sono molte altre che non hanno ancora abbracciato il mondo dei nuovi media con l’entusiasmo e la profondità del mondo protestante. Ho parlato con pastori che mi hanno detto di avere ormai staff di venti o trenta persone interamente dedicati al lavoro con i nuovi media, inclusa la gestione di siti internet. Ciò rappresenta un’evoluzione significativa nella gestione delle risorse di una comunità e dà l’idea di come i nuovi media siano importanti per i protestanti, che vi stanno investendo molto».
«Avvenire» del 9 aprile 2010

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