11 febbraio 2010

Quale Dio dopo i Lumi?

Un filosofo in ricerca auspica un cattolicesimo alieno da tentazioni politiche, un pensatore credente chiama i cristiani ad affrontare i nodi «caldi» della globalizzazione.
di Lorenzo Fazzini

Berti: caduto Marx, la religione viene rivalutata. Ed è leader

L’ateismo sprezzante verso chi crede è in regresso, e limitato a «casi» culturalmente depassé come Piergiorgio Odifreddi. I credenti sono chiamati a nuove sfide nel mondo globalizzato, in primis i diritti umani e l’immigrazione. Enrico Berti, grande conoscitore di Aristotele, oggi docente di filosofia alla Scuola Galileiana di Studi Superiori dell’Università di Padova dopo una lunga carriera nell’ateneo patavino, legge così lo status del confronto laici-cattolici in Italia.

Il Papa chiede alla Chiesa un nuovo approccio verso i non credenti. Come fare?
«Un terreno nuovo su cui è possibile incamminarsi, grazie alla ragione, è il problema dei diritti umani e del rapporto dell’uomo con i propri simili, ovvero le questioni della giustizia e del bene comune. La Chiesa cattolica, ma anche le altre Chiese, hanno assunto posizioni di guida su ciò, anche rispetto agli stessi non credenti. È pur vero che oggi c’è la tendenza a moltiplicare i diritti inventandone di nuovi. Ma penso che bisognerebbe tornare ai fondamentali, quelli presentati dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo: il diritto alla vita, alla salute, all’educazione, al lavoro, alle varie libertà di pensiero, parola e stampa».

È indubbio che il "ritorno di Dio" (così si intitola un recente volume del direttore dell’«Economist») sia un dato importante dei nostri giorni. La debolezza della politica può trovare rifugio nella strumentalizzazione della religione?
«Non è facile rintracciare antidoti precisi al rischio dell’uso politico della religione, o alla ricerca di consensi in nome di valori spirituali su cui si vuole lanciare messaggi politici. C’è un ritorno di attenzione alla fede a seguito della crisi delle ideologie dell’Otto-Novecento che negarono Dio. Chi pratica una religione oggi rappresenta una minoranza, chi ammette il senso sociale di un credo è un numero maggiore di persone, mentre chi riconosce un qualche Dio presente nel mondo costituisce un gruppo ancor più numeroso. Il discorso resta aperto. Chi rifiuta Dio in nome delle scoperte scientifiche e accantona del tutto questo tema rappresenta un’eccezione: Piergiorgio Odifreddi è un "caso" nel mondo laico. A parte vicende simili, isolate, la disponibilità a un confronto mi sembra abbastanza ampia. Non mi accade quasi mai di trovare affermazioni perentorie sul problema di Dio anche da parte di colleghi non credenti. Noto più diffuso un atteggiamento di rispetto».

Questo è qualcosa di nuovo rispetto a qualche tempo fa?
«La crisi del marxismo ha determinato questo cambiamento. La dottrina di Marx era la forma più strutturata e diffusa di ateismo. Essa non esiste più, quindi è caduto il maggiore ostacolo al dialogo tra credenti e non credenti. L’atteggiamento di disinteresse verso la proposta religiosa mi sembra in declino di fronte all’importanza del fatto religioso. La religione continua ad avere attenzione rispetto ad una cinquantina di anni fa».

Quale l’apporto più propositivo del cristianesimo alla società italiana?
«L’essere credente si aggiunge alla comune condizione umana. Il credente non ha niente di meno di chi non crede, semmai crede di avere qualcosa in più. Tutto quel che interessa agli uomini colpisce il credente. Penso, ad esempio, all’etica e alla collaborazione per il bene comune. Chi professa la religione cristiana valorizza maggiormente l’uomo nei suoi diritti e doveri. Il destino dell’umanità è un continuo dovere di interessamento da parte dei cristiani. I nodi sul tappeto sono gravi: il Terzo mondo, le migrazioni di popoli di interi continenti non autosufficienti. La globalizzazione pone domande ai credenti. La direzione delle migrazioni parte da zone non cristiane (Asia e Africa) verso aree di maggior tradizione cristiana. Questo rappresenta una chance per i credenti stessi».
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Cacciari: no al servilismo, la fede vera è quella dei martiri

«Il fatto religioso, la fede in ogni sua accezione sono fatti culturali di straordinario rilievo. Una laicità malamente concepita che intenda il fatto religioso come superstizione è una pessima laicità». Massimo Cacciari, oggi docente di estetica all’Università Vita-Salute San Raffaele, è da tempo protagonista attivo dello scambio intellettuale tra chi crede e chi resta sulla soglia della fede.

Il Papa chiede un nuovo dialogo con chi non crede. Da filosofo, cosa pensa di questo invito?
«Mi piace ricordare un’iniziativa pionieristica su questo tema, ovvero la Cattedra dei non credenti istituita a metà anni Ottanta a Milano dal cardinale Martini, una scelta audace. Quanto a chi non crede, bisogna distinguere».

Ovvero?
«Ci sono tre versioni di ateismo: una posizione risolutiva, per cui Dio è un puro nome senza contenuto semantico. E questa è la forma di ateismo che va per la maggiore e per la quale la posizione del credente è insensata. Questa visione aleggia in un certo illuminismo e nei suoi nipotini quali Piergiorgio Odifreddi e un certo giornalistume, sebbene abbia padri nobili e domini la filosofia analitica. Vi è poi l’ateo che crede, che è "abbandonato" da Dio, e che però non sa se questo abbandono sia definitivo. È una posizione di assoluto dubbio sul fatto che Dio abbia ancora o meno una relazione con lui. L’ateo che crede non sa se questo "abbandono di Dio" dipenda da lui o da Lui, da se stesso o da Dio. Ho trovato tale condizione in tanti autentici credenti: la loro fede combatte con questo dubbio, che è il grido di Gesù al Padre sulla croce. È lo stesso ateismo di Giobbe e il segreto della grandezza del cristianesimo, ovvero il credente in lotta con Dio».

Il "terzo ateismo"?
«È quello che ritiene che il proprio pensiero debba svolgersi finché manca la strada e non vuole fermarsi prima. Non vuole solo denominare la cosa, vuole andare oltre la dialettica delle idee: è un pensiero rivolto costantemente all’ultimo, intrinsecamente legato alle idee teologiche ma non pensa che Dio "è", perché se così fosse, si penserebbe Dio come ente. Tale posizione dialoga con la tradizione mistica cristiana per cui Dio non è un ente ed è superiore allo stesso pensarlo: in pratica, Sant’Anselmo d’Aosta».

Il Papa afferma poi che vi sono quegli atei che vogliono avvicinare Dio come Sconosciuto.
«Vorrei un confronto che superi l’onto-teologia del tomismo e conduca a una filosofia che va verso la cosa ultima. È possibile un confronto con una posizione filosofica che veda la trascendenza come una parte costitutiva del nostro essere uomini».

Ma non è l’ateismo che pare preoccupare i credenti, oggi, quanto piuttosto l’indifferenza…
«La cosa più pericolosa non è l’ateismo da mercato, quello di chi prende in giro i credenti. Il dato più rischioso che come non credente vedo è la religione come "instrumentum regni", così come la concepiva Spinoza o Machiavelli: il credo come strumento di conservazione. È una tentazione da cui la Chiesa deve stare attenta, e che è molto presente nell’islam. È la religione ridotta a forma politica, cioè Mosè e Maometto condottieri militari e politici. È qui che sta la grandezza di Cristo e la forza della sua denuncia rispetto all’ebraismo del suo tempo. Nel Novecento si è visto il pericolo delle religioni pronte a mettersi a disposizione di poteri politici in cambio di favori. Mentre c’è stato, e fu importante, il fenomeno dei martiri dei grandi totalitarismi, soprattutto in ambito protestante».

E al mondo del pensiero cosa chiederebbe?
«Vorrei che si pensasse in maniera più "difficile". Penso ancora alla Cattedra dei non credenti di Milano: riapriamo spazi e rifacciamo gesti di quell’audacia».
«Avvenire» dell'11 febbraio 2010

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