04 febbraio 2010

Ma l'aborto «invisibile» è ancor più dramma

La pillola dei 5 giorni dopo
di Assuntina Morresi
Il nome commerciale è «EllaOne», quel­lo corrente è «pillola di cinque giorni do­po », la sostanza è una trasformazione si­gnificativa e pericolosa dell’aborto farma­cologico: stiamo parlando di un prodotto ad azione abortiva, registrato però come anticoncezionale femminile, nella discu­tibile categoria della «contraccezione d’e­mergenza ». La differenza con la «pillola del giorno do­po » già in commercio in Italia potrebbe sembrare sottile, ma è sostanziale. Que­st’ultima agisce entro 72 ore dal rapporto sessuale in cui vi sia stata la possibilità di un concepimento. E il suo meccanismo non è del tutto chiaro: a quanto si legge nei fo­glietti illustrativi potrebbe bloccare la fe­condazione, agendo quindi come un con­traccettivo che però provoca l’eliminazio­ne dell’embrione impedendone l’impian­to nell’utero. A quanto dichiarato dall’a­zienda produttrice, una volta iniziato l’im­pianto dell’embrione la «pillola del giorno dopo» non è più efficace.
EllaOne invece è attiva per più tempo – cin­que giorni – proprio perché agisce in mo­do completamente diverso: blocca il pro­gesterone, cioè l’ormone della gravidanza, con modalità simili a quelle della pillola a­bortiva Ru486, e in presenza di un embrio­ne ne impedisce l’annidamento. A ragione di questo suo meccanismo d’azione, è e­spressamente controindicata durante una gravidanza in atto.
Dal punto di vista morale l’uso delle due pillole è del tutto analogo, perché in en­trambi casi si assumono sapendo che, se è presente un embrione, questo viene sem­plicemente eliminato. Ma per l’immissio­ne in commercio nel nostro Paese della «pil­lola dei cinque giorni dopo», annunciata dall’azienda che la produce (la francese H­ra Pharma), la differenza è sostanziale: si tratta di un farmaco con azione abortiva che la casa farmaceutica ha potuto regi­strare come anticoncezionale, pur nella ca­tegoria di «emergenza». L’ambiguità e la confusione non potevano essere più grandi: siamo infatti al cospetto di uno stratagemma che rende legalmente possibile procurarsi un precocissimo a­borto con ricetta medica in tutte le farma­cie dell’Unione Europea, classificando l’a­borto come «contraccezione».
Fin dall’inizio, d’altra parte, era proprio que­sto l’obiettivo cercato dai sostenitori del­l’aborto farmacologico: la scomparsa del­l’aborto stesso, intesa però non come ci si dovrebbe augurare, ovvero l’azzeramento delle interruzioni di gravidanza. Con pillo­le somministrate sempre più precocemen­te, infatti, l’aborto c’è sempre, ma viene re­so «invisibile», socialmente non ricono­sciuto, riguardando solamente la donna che assume la pillola. E un aborto «invisibile» non sarà solo un dramma, sarà un dram­ma pressoché impossibile da prevenire.
Quando in Italia arriverà questa nuova pil­lola aumenteranno i problemi di obiezio­ne di coscienza degli operatori del setto­re, a partire dai farmacisti: sarà davvero difficile considerare « anticoncezionale » un farmaco che può eliminare un em­brione di cinque giorni. È anche curioso poi che in un Paese come il nostro, dove in nome della 'salute delle donne' tribu­nali di ogni tipo – amministrativi, civili, fi­no alla Corte Costituzionale – amano pro­nunciarsi su embrioni umani, nessuno si ponga il problema della salute delle ra­gazze che assumono pillole del giorno pri­ma e di quello dopo, e tra non molto pro­babilmente dei cinque giorni, il tutto sen­za alcun tipo di controllo. Lasciando da parte. per un momento, il pro­blema strettamente etico, e considerando che sono soprattutto giovani donne – spes­so ragazzine – a ricorrere a questo tipo di far­maci, siamo proprio sicuri che ne possano fare un uso disinvolto e incontrollato, pas­sando da una pillola all’altra senza alcuna conseguenza per la loro futura salute?
Si sta creando una nuova situazione di ri­schio: ci auguriamo che le autorità com­petenti, e in particolare l’Aifa (l’Agenzia i­taliana del farmaco), che ha il compito di valutare i farmaci prima che siano com­mercializzati in Italia, affrontino la que­stione con rinnovato e grande senso di re­sponsabilità.
«Avvenire» del 3 febbraio 2010

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