28 febbraio 2010

In cerca di mio nonno, la tigre Pavolini

Un viaggio (storico e personale) nelle tenebre: esce da Fandango un romanzo di memoria e passioni. «Chi era quell'uomo?»
di Franco Cordelli
Il nipote credeva che il gerarca fosse un eroe come Saint-Exupéry. Poi scopre la verità sui libri di scuola
In questi giorni si sono potuti leggere tre scritti di varia natura nei quali viene nominato Enzo Siciliano. Emanuele Trevi lo rammenta in uno stralcio di diario apparso sull' ultimo numero di «Nuovi Argomenti»; Arnaldo Colasanti in modo straziante ne rievoca la morte nel suo secondo romanzo, La prima notte solo con te; infine ce ne parla, in ragione della loro amicizia, Lorenzo Pavolini, anche lui in un romanzo, il suo terzo, Accanto alla tigre (Fandango). Tutti e tre lo chiamano per nome. È un particolare che mi ha colpito. Perché tanta confidenza? Di chi parlano Trevi, Colasanti e Pavolini: dello scrittore o dell' amico? Naturalmente dell' uno e dell' altro. Ma il continuo slittamento dall'una all'altra dimensione ingenera un equivoco e in ultima istanza a Siciliano non rende il dovuto. Questo aspetto che direi aneddotico-sentimentale è, in apertura (e nell'ultimissima pagina), il tono del romanzo di Pavolini. È anche il tono di tanta letteratura colta degli ultimi anni. Sto pensando a scrittori di altra origine rispetto a quelli che ho nominato, come Antonio Pascale, Ascanio Celestini o Elena Stancanelli. Sono accomunati dall'inclinazione a una familiarità con il lettore che in natura non esiste, che forse si desidera perché si teme il peggio (che lettori eccellenti non ve ne siano, tranne gli amici), che alla letteratura scappi il terreno sotto i piedi. Essa non ha più potere, non ha più statuto. Ma il caso di Pavolini è diverso. Poiché è turbato, egli comincia così, divagando. Il suo argomento è preciso, è il nonno Alessandro, il gerarca fascista impiccato per i piedi a piazzale Loreto, accanto a Mussolini e alla Petacci. Lui, ne sapeva poco, credeva fosse morto in volo, come il suo amato Saint-Exupéry. Poi ne vide una foto in un libro delle medie. Da allora, per anni Pavolini ha inseguito questo pensiero, chi era davvero mio nonno, e alla fine ci è riuscito, ha cominciato ad accostarsi alla tigre. Ma, lo ripeto, con un certo timore. Come non averne? Egli, nato nel 1964, ha avuto un' educazione tutta diversa, è abituato a retrocedere nel guscio della tribù, della famiglia, del lavoro, dei valori universalmente condivisi (la democrazia), infine della stessa letteratura e di chi la letteratura la fa, la scrive. Enzo Siciliano non era, un poco, un padre e un nonno, tutti e due insieme, l' uomo che lo rassicurava e rappresentava tutto ciò che Alessandro Pavolini non fu? Su questa falsariga, per saperne di più, si accosta anche ad altri amici, i coetanei, quelli che di Pavolini ne sanno e che gliene parlano di propria spontanea volontà o che lui da anni è abituato a interrogare. O, se non si accosta alle persone, sta lì, come imbambolato e scappa via da quella scritta sul muro, PAVOLINI EROE, che lo sgomenta, che non capisce, su cui torna a riflettere senza venire a capo di niente. Più tardi Lorenzo (ora sono io a chiamarlo per nome perché, come lui stesso mi ricorda, la prima volta che ci siamo incontrati, tanti anni fa, mi parlò di questo romanzo, che avrebbe voluto scrivere), più tardi egli comincia a sfogliare libri, lascia che la sua scrivania ne sia invasa; o, addirittura, si spinge in luoghi pericolosi: nel cimitero di Milano, dove il nonno è sepolto, sembra che non riesca a entrare; a Salò ci capita per caso, per un concorso letterario; ma entra, cauto, in Casa Pound, dove dell' arditissimo Alessandro Pavolini, accanto a quelli di Céline, Tolkien, Mishima e Massud, spiccano il nome e l' immagine. A questo punto il libro ha già cambiato tono, forse l' autore non se ne è accorto, non ha voluto. Ma gli è successo proprio ciò che meno voleva: voleva essere accanto alla tigre, invece ci è salito sopra: «Ma io preferisco stare dalla parte di Tracy il non domatore. Il Tracy di Saroyan». Sta parlando del racconto di uno scrittore americano che gli fu a lungo d' esempio, mentre di esempi ne incalzano ben altri, William Blake o Lao-Tzu: facile è cavalcare la tigre, difficile è scendere. Un giorno Lorenzo aveva detto a un amico: «Tu non puoi proprio rassegnarti, eh? Il fatto che si possa stare bene lo stesso, anche senza raccontarsi fino in fondo le cose, non ti sembra accettabile, vero?». Alessandro Pavolini, a pensarci bene, si comportò come lui. Aveva cominciato scrivendo romanzi e racconti, di cui a lungo il nipote ci parla. Poi non resistette. Non volle andare fino in fondo, con il raccontare fino in fondo le cose, e cambiò «patria», lui il grande italiano, il magno patriota del partito fascista. Divenne un uomo d' azione e, in questa seconda veste, tra tutti gli uomini che gli erano accanto, fu l' unico a morire con le armi in pugno. Ecco, nello spingersi sempre più avanti nelle tenebre, il nipote Lorenzo ora non è da meno di nessuno, è anzi molto più poetico, cioè coraggioso, lui, il non fascista, di Giose Rimanelli con il suo Tiro al piccione o di Carlo Mazzantini con il suo A cercar la bella morte. Ma come era, in realtà, Alessandro? Man mano che ci si allontana dalle chiacchiere retoriche (Alessandro l' etrusco), Lorenzo ne scopre l' ineluttabile e così italiano scivolare dalla serietà, se questa si è voluta, nella tragedia; ne scopre la faccia cordiale e disponibile («Egli agisce di solito per pura cortesia e gli capita di essere sospinto in situazioni che non desidera»); ne mette a fuoco la raffinatezza che tanto facilmente finisce nella viltà o in ciò che crediamo il suo opposto, il cosiddetto eroismo; ne ascolta l' inclinazione ad aver delineato, tra i primi, i tratti di quanto più tardi si chiamò fasciocomunismo, la maggiore tra tutte le consolazioni; ne vede il desiderio ma in specie l' impotenza a spostare la storia, proprio come i ragazzini, al Foro Italico, girano intorno a quella immobile palla che ne è al centro senza smuoverla di un millimetro; infine riesce, a bassa voce, con pudore, con delicatezza, a dirne il peccato maggiore, la sua incapacità di accettare la banalità del bene, il suo rifiuto di ciò che più importa nella vita, nei meandri dell' uomo, in democrazia o in qualunque luogo si sia, accanto o a cavallo della tigre.

Esce giovedì 4 marzo il romanzo Accanto alla tigre di Lorenzo Pavolini (Fandango, pagine 248, 16,50). Nato a Roma nel 1964, Pavolini è autore di altri due romanzi: «Senza rivoluzione» (Giunti) e «Essere pronto» (Pequod)
«Corriere della Sera» del 27 febbraio 2010

Nessun commento:

Posta un commento