06 febbraio 2010

Il vecchio Holden

Il romanzo di Salinger affascina i giovani americani all'inizio degli anni Cinquanta mentre gli italiani lo scoprono dieci anni dopo. L'irresolubile problema del 'momento giusto'
di Umberto Eco
Alla morte di Salinger ho letto varie rievocazioni de Il giovane Holden e ho visto che si dividevano in due categorie: la prima, erano le memorie commosse di coloro per cui il romanzo era stato una meravigliosa esperienza adolescenziale, la seconda erano le riflessioni critiche di coloro che (o troppo giovani o troppo vecchi) lo avevano letto come si legge un romanzo qualsiasi. Le letture del secondo tipo erano tutte perplesse e si domandavano se lo 'Holden' sarebbe rimasto nella storia della letteratura o rappresentava un fenomeno legato a un'epoca e a una generazione. Eppure nessuno si era posto problemi del genere rileggendo 'Herzog' alla morte di Bellow o 'Il nudo e il morto' alla morte di Mailer. Perché con 'Holden'?
Io credo di essere una buona cavia. Il romanzo esce nel 1951, viene tradotto l'anno dopo in italiano per i tipi di Casini con il titolo poco incoraggiante di 'Vita da uomo', passa inosservato e ottiene successo solo nel 1961 quando esce da Einaudi come 'Il giovane Holden'. È quindi la 'madeleine' proustiana di chi era adolescente all'inizio degli anni Sessanta. Io a quell'epoca ero trentenne, ero impegnato su Joyce, e Salinger mi è sfuggito. L'ho letto, quasi per dovere documentario, solo una decina d'anni fa, e mi ha lasciato indifferente. Come mai?
Anzitutto non mi ricordava alcuna passione adolescenziale; in secondo luogo probabilmente quel linguaggio giovanile che aveva così originalmente usato era ormai superato (si sa, i giovani cambiano di gergo a ogni stagione), e quindi suonava falso; e infine dagli anni Sessanta a oggi lo 'stile Salinger' aveva avuto tale fortuna ed era riapparso in tanti altri romanzi, che non poteva che apparirmi di maniera, e in ogni caso per nulla inedito e provocatorio. Il romanzo era divenuto poco interessante a causa del successo che aveva avuto.
Questo induce a pensare quanto, nella storia della 'fortuna' di un'opera, contino le circostanze, i contesti storici in cui appare, e il riferimento alla vita stessa del lettore. Un esempio a un altro livello: io non appartengo alla 'Tex generation ' e rimango sempre stupito quando sento qualcuno che si dichiara cresciuto col mito di Tex. La spiegazione è semplice, Tex appare nel 1948 e a quell'epoca io, già liceale, avevo smesso di leggere i fumetti, e avrei ripreso a leggerli verso i trent'anni, all'epoca di Charlie Brown, della riscoperta dei classici come Dick Tracy o Krazy Kat, e con l'inizio della grande tradizione italiana dei Crepax e dei Pratt. Nello stesso modo il mio Jacovitti è stato quello di Pippo, Pertica e Palla (anni Quaranta) e non quello di Cocco Bill.
Ma stiamo attenti a non ridurre tutto a problemi personali. È ovvio che qualcuno può odiare la Divina Commedia perché, all'epoca in cui doveva studiarla, stava soffrendo di una tremenda delusione amorosa, ma questo poteva succedergli anche con i film di Totò. Tuttavia non bisogna indulgere al vizio pseudo decostruzionista per cui non esiste alcun senso di un testo e tutto dipende dal modo in cui il lettore lo interpreta. Si può intristire ricordando 'Totò, Peppino e la malafemmina' perché la nostra ragazza ci ha lasciato proprio quel giorno che eravamo andati a vederlo, ma questo non esclude che, a un'analisi spassionata, l'episodio della lettera a Dorian Grey risulti un capolavoro di ritmo e di dosaggio di effetti comici.
Allora, se il valore artistico di un'opera può essere valutato indipendentemente dalle circostanze della nostra personale ricezione, rimane la questione delle ragioni del suo successo o insuccesso in un'epoca determinata. Quanto il successo di un libro può essere legato al periodo (e al contesto culturale) in cui appare? Perché lo 'Holden' affascina i giovani americani all'inizio degli anni Cinquanta ma nello stesso periodo lascia indifferenti i giovani italiani, i quali lo scoprono solo dieci anni dopo? E non basta pensare al maggior prestigio editoriale e alla capacità pubblicitaria di Einaudi nei confronti di Casini.
Potrei citare molte opere che hanno ottenuto vasta popolarità e apprezzamento critico di cui non avrebbero goduto se fossero state pubblicate dieci anni prima o dieci anni dopo. Certe opere devono arrivare nel momento giusto. E dalla filosofia greca in avanti si sa che 'il momento giusto' o 'kairos' costituisce un serio problema. Affermare che un'opera appare o non appare nel momento giusto, non significa poter spiegare perché quello sia proprio il momento giusto. Si tratta di quei problemi irresolubili come predire dove sarà mercoledì una pallina da ping pong affidata il lunedì alle onde del mare.
«L'Espresso» del 4 febbraio 2010

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