30 gennaio 2010

La tavola magica non ci farà più liberi se l'informazione è senza qualità

L'ultima Mac-invenzione
di Francesco Ognibene
Furbo e navigato com’è, Steve Jobs ha giocato sull’aura miracolistica che lo circonda: «L’ultima volta che c’è stata tan­ta emozione per una tavoletta c’erano dei comandamenti scritti sopra...». Col nuovo iPad tra le mani, il leader carismatico del­la Apple ha volutamente alleggerito l’at­mosfera di attesa che circondava l’evento di San Francisco durante il quale, martedì, l’azienda americana ha svelato il suo nuo­vo strumento per leggere libri e giornali e­lettronici, ascoltare musica e comunicare. I più recenti debutti di prodotti Apple au­torizzavano pronostici fantasiosi: lancian­do l’iPod, Jobs ha stravolto il mercato del­la musica, mentre con l’iPhone ha proiet­tato nel futuro lo standard per la telefonia mobile. Inevitabile supporre che l’iPad fos­se destinato a creare sbalordimento sin dal primo vagito, un’icona della rivoluzione di­gitale prima ancora che lo si fosse mate­rialmente visto. La fama messianica che ormai avvolge Jobs ha spinto ieri il compassato Economist a ri­produrlo in copertina nei panni di un au­reolato evangelista con la mac-tavoletta al posto del Vangelo, sotto un titolo – «Il Libro di Jobs» – che completa umoristicamente la sintesi del clima col quale è stata accol­ta la lavagnetta elettronica. Una metafora pop che ha centrato l’aspetto decisivo del­la vicenda: per la prima volta i più ansiosi di conoscere cosa si fosse inventato Mister Apple non erano i consumatori. Ad augu­rarsi che tra le mani di Jobs apparisse l’«iPod della stampa», lo strumento in gra­do di generare un business dal nulla, sono infatti gli editori che hanno visto sgretolar­si le proprie quote di mercato sotto l’effet­to di un fenomeno apparentemente inar­restabile: la possibilità di consultare gratis su Internet ciò che fino a ieri aveva un pur modesto prezzo. Nell’era delle notizie via Web, il valore intrinseco dell’informazione non sembra equivalere più a un doveroso costo per chi vuole disporne. I siti dei gior­nali spiazzano le edizioni cartacee eroden­do quasi sempre le copie diffuse in edico­la, fino a costringere in America antiche im­prese editoriali all’onta della bancarotta.
Questo scenario giustifica l’agiografia del boss di Apple: l’informazione non si sente più padrona del proprio futuro ma – a cor­to di idee efficaci per scongiurare il temu­to collasso – si consegna interamente al Grande Inventore, al guru che ha già resu­scitato l’industria discografica e sembra di­sporre dello stampo magico per supporti e­lettronici presto inseparabili dalla nostra quotidianità. Un’ammissione d’impoten­za, quasi una resa di fronte alla post-mo­dernità digitale capace di spazzar via mo­delli di consumo dell’informazione ritenu­ti inattaccabili. E di farlo paradossalmente nel nome di una domanda inesausta di no­tizie, una fame senza precedenti che cerca soddisfazione senza far più troppo caso al­l’autorevolezza della fonte.
Che grazie all’iPad gli editori riescano a in­tercettare questa bulimìa informativa tro­vando il modo di tornare a guadagnarci qualcosa è una storia ancora tutta da scri­vere. Ma intanto a Steve Jobs il sistema del­l’informazione 'tradizionale' sembra aver consegnato le chiavi di casa, lanciando il preoccupante segnale di una scommessa concentrata sul supporto di lettura assai più che sulla qualità delle notizie e del mo­do di proporle. Anziché rilanciare il patto fiduciario che lega una testata ai propri let­tori e alla loro libertà si confida in un nuo­vo miracolo di Jobs, che certo non potrà ri­petersi se il valore dei contenuti e la loro pertinenza rispetto alle attese più autenti­che (e sovente inespresse) dei lettori resta­no quelle che vediamo circolare più fre­quentemente sui media di casa nostra.
È possibile che il deterioramento della qua­lità informativa e l’esplosione delle sorgenti alle quali attingere notizie di dubbia trac­ciabilità conduca presto o tardi a riscopri­re che – nel mare in tempesta delle news – occorre trovare un porto sicuro, un mar­chio di garanzia del quale potersi fidare. Ma su questa informazione 'certificata' urge investire ogni risorsa di creatività, di intel­ligenza, di responsabilità. Diversamente, potrebbe non bastare persino l’aureola di Steve.
«Avvenire» del 30 gennaio 2010

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