11 gennaio 2010

Di destra? No, era un romantico: l'Italia finalmente capisce Tolkien

di Roberto Arduini
Soffia un vento nuovo e non viene dall’est. Se non la critica, parte degli studiosi si sono accorti che lo scrittore inglese J.R.R. Tolkien è un autore a tutto tondo, non solo per bambini, come si dice, o per nostalgici. Questo almeno per l’Italia, che colma ora una lacuna più che trentennale, e per una parte dei critici, visto che c’è chi ancora nostalgico lo è nell’anima. La sorprendente collana Tolkien e dintorni della Marietti 1820 in pochi anni ha riempito quel vuoto assordante con i migliori studi disponibili sull’autore del Signore degli Anelli : riunisce critici del calibro di Tom Shippey, allievo ed erede del Professore, e Verlyn Flieger, docente di Mitologia e Studi Medievali negli Usa. Come ulteriore novità, l’ultimo volume è un’antologia scritta completamente da studiosi italiani. La Falce Spezzata. Morte e immortalità in J.R.R. Tolkien segue anche nelle modalità di stesura gli standard dei Paesi anglosassoni, con un gruppo di studio al lavoro per quasi due anni. Gli autori non si limitano a ripetere versioni trite e obsolete presenti in molta saggistica degli anni passati, soprattutto nel periodo dell’uscita della trilogia di Peter Jackson. Al contrario di interpretazioni allegoriche, tradizionaliste e mistico-dualistiche, tanto in voga fino a tutti gli anni Novanta - visioni che non trovano fondamento nell’opera -, lo scrittore inglese è inserito nel filone tardoromantico, insieme ad autori come William Morris e George MacDonald, e a ritroso a risalire fino al loro capostipite, il poeta, filosofo e scrittore tedesco Novalis, convinto sostenitore dell’opera di fantasia, in cui «si rispecchia l’insolito gioco dei rapporti tra le cose e si manifesta l’anima del mondo». Tolkien rientra pienamente in questo filone con la sua idea dell’arte come eterocosmo, della fantasia come ponte tra il naturale e il sovrannaturale, dell’esperienza artistica come presa di coscienza della realtà vera e perenne che esiste al di là del mondo sensibile delle apparenze. Ma Tolkien è anche uno scrittore che ha vissuto i drammi del XX° secolo, ha combattuto nelle trincee della Prima Guerra Mondiale e subìto le bombe della Seconda. Lo scrittore s’è posto le stesse domande che altri autori contemporanei si ponevano, cercando, forse con più fiducia rispetto ai War Poets come Graves, Owen e Sassoon, le risposte che la sua matrice cristiana e la sua aderenza a determinate tradizioni letterarie lo spingevano a trovare. Il suo tornare ai miti va interpretato non in una superficiale chiave allegorica - che lo scrittore dichiaratamente detestava -, ma come la volontà di inserire l’esperienza e la sofferenza individuale in un contesto universale, restituendo valore al dolore, affrontando il problema del male, ricostruendo un mondo essenzialmente morale in cui l’individuo ritrova la propria identità attraverso le scelte e l’assunzione di responsabilità verso la comunità. Fili conduttori ne risultano il rapporto con la natura (tema «ecologico»), con il passato (il tempo e la memoria) e con il presente (l’eroismo), che uniscono i racconti brevi (da «Foglia», di Niggle al Fabbro di Wootton Major ) allo Hobbit e al Signore degli Anelli.
MA GIÀ NEL 1982...
A ben guardare, gli studi validi erano già presenti in libreria, come dimostrano i molti volumi curati da Franco Manni o un libro che risale addirittura al 1982, Introduzione a Tolkien di Emilia Lodigiani. Dieci anni dopo, su l’Unità Alessandro Portelli parlando di Tolkien ne denunciava «l’appropriazione, senza fondamento, da parte della destra italiana» che, omettendo capziosamente, si limitava a «raccontare la fabula, disinteressandosi del tutto dell’intreccio». Eppure, i più zelanti alfieri dell’interpretazione di destra continuano a «raccontar la loro favola», senza accorgersi che il mondo va avanti. Forse è per questo che Gianfranco de Turris ha potuto scrivere nella Postfazione alla Leggenda di Sigurd e Gudrún tutta una serie di corbellerie, come il fatto che fosse ancora inedita la traduzione del Beowulf da parte di Tolkien (pubblicata nel 2002 da Michael Drout); ed è per questo che Quirino Principe, curatore della prima edizione del Signore degli Anelli per la Rusconi nel 1970, ha potuto affermare all’ultimo Festivaletteratura che la Bompiani non ha più ripubblicato Le lettere di Babbo Natale (edite nel 2000 e nel 2004) e che Albero e foglia fu un’opera «giovanile» di Tolkien (aveva 50 anni). Sono molti i segnali che le cose stanno cambiando, per fortuna, e lo dimostrano altri studi seri come la pubblicazione delle Lettere ai Bambini di C.S. Lewis, a cura di Carlo Bajetta, che rende omaggio a un altro degli Inklings, amico di Tolkien e autore delle Cronache di Narnia. Lo dimostra il fatto che l’autore del Signore degli Anelli sia perfino protagonista di un romanzo, l’emozionante Stella del Mattino di Wu Ming 4. Lo dimostrerà soprattutto il convegno che si terrà il 22 maggio prossimo a Modena su «Tolkien e la filosofia», organizzato dall’Istituto Filosofico di Studi Tomistici e l’Associazione Romana di Studi Tolkieniani, e che porterà per la prima volta in Italia proprio Tom Shippey e Verlyn Flieger. «Il mondo sta cambiando», direbbe Barbalbero.
«L'Unità» del 7 gennaio 2010

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