03 dicembre 2009

Quei Pilati «incompetenti»

Contro la vita, contro la legge
di Marina Corradi
Non è cosa di nostra competenza. Questa la risposta dell’Aifa al ministro Sacconi che, dopo un’approfondita indagine parlamentare, chiedeva che la pillola abortiva venisse sommi­nistrata solo in regime di «ricovero ordinario», cioè in ospedale fino al compimento dell’abor­to. L’Agenzia italiana del farmaco ha elegante­mente declinato la richiesta: le nostre compe­tenze in materia di dispensazione dei farmaci «sono limitate», ha spiegato. Risposta medical­mente pilatesca, quando è noto che in un alto nu­mero di casi la somministrazione del farmaco a­bortivo dà luogo a emorragie e problemi, anche gravi, che la donna non dovrebbe trovarsi ad af­frontare da sola. Risposta politicamente invece molto chiara, quando spiega come il pieno ri­spetto della legge 194 sia materia di competen­za del Ministero – e che dunque se la veda lui.
Perché qui è il nodo politico del confronto. La 194 prevede che l’aborto avvenga in ospedale. Se si arrivasse invece a delegare all’ospedale so­lo la somministrazione della pillola, mandando poi le donne a casa, la legge 194 sarebbe scaval­cata. In una sorta di privatizzazione di fatto del­l’aborto. Utile a sgravare i medici da un compi­to pesante, e il servizio sanitario dalle spese de­gli interventi chirurgici. Ma poco conciliabile col testo di una legge che almeno nel suo incipit af­fermava di riconoscere «il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana dal suo i­nizio ».
Che cosa si tutela, se la Ru486 va presa in fretta, entro la settima settimana di gravidanza, e non c’è neanche il tempo di quella settimana di ri­flessione prevista dalla 194? Chi si tutela, se pas­sa la vulgata che per abortire ora 'basta una pil­lola'? Non certo le adolescenti, né la loro consa­pevolezza di cos’è un figlio, e cos’è buttarlo via. Che cosa sia poi davvero, di sofferenza, il lungo velenoso 'lavoro' dell’aborto chimico, lo sco­priranno poi, sulla pelle. Sembra paradossale che proprio un giornale cat­tolico debba 'difendere' la legge sull’aborto co­sì come fu concepita trent’anni fa. Ma quella leg­ge, inaccettabile per i credenti, era almeno il com­promesso fra parti politiche che, nel legalizzare l’aborto, avevano ancora uno sguardo, sia pure a livello di princìpi, alla maternità, giudicata co­me un bene da tutelare, e ai diritti del concepi­to: cui era dedicato il lungo articolo 2 sulla pre­venzione dell’aborto. Trent’anni dopo, quell’articolo è rimasto quasi lettera morta. Le «associazioni di volontariato» che avrebbero voluto aiutare le donne a tenersi il figlio sono state ostacolate e spesso demoniz­zate. Per trent’anni il leit-motiv costante invece è stato: «La legge 194 non si tocca». (Un Moloch, un dogma del laicismo, del femminismo e della sinistra. Secondo cui l’aborto è prima di tutto 'diritto' da affermare).
Ma se il garbato declino di responsabilità del­­l’Aifa porterà come risultato a lasciare che le don­ne, ottenuta in fretta una pillola, abortiscano so­le a casa loro, sarà nei fatti e idealmente, rispet­to alla legge, un passo indietro, un venire meno a quello 'sfavore' all’aborto che pure tra le righe del testo della 194 si avverte. Una scelta prag­matica, utile ai conti delle Asl; una scelta utilita­ristica in linea con l’individualismo che ci do­mina. (Fare in fretta, senza nemmeno aspettare o aspettarsi l’aiuto di qualcuno. Abortire da so­le, creando meno problemi possibile. E pazien­za se a qualcuna magari andrà male).
Non è cosa, hanno detto, di nostra competenza. Dietro a una formula burocratica, una visione del mondo. Che una donna – povera, ricca, stra­niera – abortisca, e come, e la sua salute, son fat­ti suoi. Che questo avvenga secondo il dettato della legge, son fatti del Ministero. Perfettamen­te in linea, quelli dell’Aifa, con la mentalità co­munemente dominante. E altrettanto dimenti­chi di quel bene che, pur ferito e sopraffatto, nel 1978 l’Italia ancora ricordava. L’aborto, sì, lega­le, ma maternità come un bene da sostenere. La vita umana un valore, «dal suo inizio». Quella pillola data in fretta, che porta la morte in soli­tudine, sembra il simbolo di un mondo in cui si vive per sé soli.
«Avvenire» del 3 dicembre 2009

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