13 dicembre 2009

Lettura & pregiudizio

Il talento giornalistico di Michele Serra ha fatto velo a critici e osservatori che non hanno preso in considerazione l' alta qualità narrativa del suo «Cerimonie» Gli schemi mentali impediscono di riconoscere i valori autentici
di Claudio Magris
All'inizio della Montagna incantata di Thomas Mann un'infermiera dice al protagonista, Hans Castorp, che si è recato a trovare il cugino malato e comincia a sentire la seduzione del sanatorio, di misurarsi la temperatura. Sorpreso, egli risponde di essere abituato a misurarsi solo quando ha la febbre, al che lei replica che ci si misura per sapere se si ha o no la febbre. Entrambi i comportamenti hanno una loro logica. Quella di Castorp è la logica del pre-giudizio; come nel caso della febbre proclamata prima di essere accertata, spesso si decide a priori in quale categoria rientra un fenomeno, per poi valutarlo secondo le regole di quella categoria. Un giorno di molti anni fa, ad esempio, nella famosa galleria d'arte di Leo Castelli a New York, culla di tante grandi avanguardie contemporanee, tutti i quadri erano parati a lutto, coperti da drappi neri, per protesta contro la condanna inflitta a un artista. La galleria era vuota ma, come ho già raccontato, ad un tratto è entrata una giovane donna che, ignara di quella protesta e credendo si trattasse della mostra di una nuova corrente o di un nuovo artista, si è soffermata a lungo dinanzi a ogni quadro coperto, prendendo pure appunti. Non so se quei quadri invisibili le piacessero o no; comunque lei valutava quei panni secondo criteri estetici mentre, se avesse saputo che si trattava di una protesta, i suoi metri di giudizio e dunque i suoi giudizi sarebbero stati diversi. Questa consapevole o inconsapevole decisione preliminare di come porsi dinanzi a un fenomeno è un pre-giudizio che condiziona la valutazione. Ineliminabile, spesso pericoloso e fuorviante, il pregiudizio è anche necessario perché, offrendo inquadrature e orizzonti, ancorché discutibili, in cui collocare le cose, difende dalla vertigine che ci coglie quando le cose ci arrivano addosso senza etichetta e senza cornice, in un vortice caotico perché ci manca un angolo prospettico da cui guardarlo e ordinarlo. L'arte e la letteratura, che pure dovrebbero infrangere ogni gerarchia e ogni classificazione prestabilita, soggiacciono spesso a tale preconcetto, oggi in modo particolare. Si decide a priori - o viene suggerito e imposto a priori dal meccanismo editoriale e mediatico - quali libri sono importanti, prima che siano stati letti; quali sono i libri che si devono leggere. Non è l'opera che, letta, giustifica il suo autore; bensì è l'autore, se famoso, a giustificare una sua opera anche eventualmente priva di qualità o estranea alla letteratura. Come nel Pendolo di Foucault di Umberto Eco, una banale lista viene scambiata per un pericoloso documento segreto perché la si ritiene a priori tale, così la più banale frase di Kafka che annoti, poniamo, il ritardo di un treno può venir letta come una parabola metafisica, grazie alla grandezza di ben altri testi di Kafka. Talvolta lo stesso successo in un campo preclude il riconoscimento di risultati che si conseguono in un altro settore, perché tutto viene valutato secondo i criteri che si è abituati ad applicare a quell' autore. Anni fa notavo come il giusto successo di Michele Serra quale giornalista e autore delle acute, godibili - talora fatalmente pure stantie - amache satiriche avesse ostacolato la consapevolezza dell'originale, alta qualità narrativa di un suo libro come Cerimonie (Feltrinelli), perché il suo autore era già etichettato quale stimato esponente di un altro ramo. O, per fare un altro esempio, il ruolo così rilevante di Alberto Asor Rosa nella critica letteraria e nel dibattito ideologico ha frenato il riconoscimento della forza poetica delle sue Storie di animali e altri viventi, che valgono più di molti testi di autori da lui studiati e magari celebrati. Così dubito che ora un breve racconto di Guido Davico Bonino, Figlia d'arte (Manni editore, pp. 80, Euro 10) - un racconto perfetto che tocca con evidenza poetica e possente concisione alcune corde essenziali del vivere - venga considerato, come merita, uno dei testi narrativi più incisivi di questo momento. Davico Bonino è universalmente riconosciuto nel suo valore di editore che ha contribuito per anni a dare il tono, con Bollati e Ponchiroli, alla casa editrice Einaudi, di studioso di letteratura italiana e di critico teatrale, accademico e militante. Paradossalmente, temo che tutto ciò possa rendere più difficile accorgersi che questo testo non è l'elegante capriccio di un letterato, ma un racconto che parla della vecchiaia, del rapporto fra la genialità e la violenta sopraffazione della seduzione e della colpa della vitalità. Si potrebbero fare altri esempi. Michelstaedter aveva colto anche tutto questo, quando parlava della retorica, dell'organizzazione del sapere che classifica, ordina, schematizza la vita. La retorica è un farmaco e ogni farmaco, come dicono le istruzioni che la pubblicità è obbligata a invitare a leggere, è ambivalente; aiuta a sopportare la vita altrimenti spesso insostenibile ma la ottunde, la imbalsama come, in un museo di storia naturale, un animale da preda che non può più mordere.
«Corriere della sera» del 12 dicembre 2009

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