11 dicembre 2009

La realtà offuscata

Dietro le divisioni politiche fra i leader
di Piero Ostellino
Dice il Papa: «Ogni giorno, at­traverso i giorna­li, la televisione, la radio, il male viene rac­contato, ripetuto, amplifica­to ». Ma se è la notizia che crea l’evento (non vicever­sa); se le percezioni preval­gono sui fatti; se gli stereo­tipi semplicistici e senti­mentalmente colorati su av­versari e alleati offuscano la vera natura dei rapporti, il mondo si polarizza e la politica si militarizza. Que­sta è l’Italia della «guerra ci­vile » fra centrodestra e cen­trosinistra, del «conflitto» fra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi nella maggio­ranza, della «distanza» fra Pier Luigi Bersani e Anto­nio Di Pietro nell’opposizio­ne.
Per sostenere che Fini ha «una certa idea della de­stra» opposta a quella di Berlusconi, sarebbe neces­sario accertare se quello che dice sia un pensiero or­ganico o non siano invece giudizi contingenti, per quanto fuori linea, su singo­li eventi. Per sostenere che Berlusconi ha «una certa idea della destra», diversa da Fini, sarebbe necessario accertare se ne abbia (alme­no) una. Forse, una «certa idea della destra» non l’hanno né l’uno né l’altro. Un discorso analogo si può fare per Bersani e Di Pietro e sull’idea che entrambi hanno sul ruolo dell’opposi­zione. E altrettanto si può dire della «guerra civile» fra centrodestra e centrosi­nistra, privi entrambi di «una certa idea dell’Italia», ma ugualmente bisognosi di legittimazione etico-poli­tica, non fosse che per con­trapposizione.
Che Fini sopporti male come Berlusconi governa il Pdl è un fatto. Lo vorrebbe una «monarchia costituzio­nale » mentre ha la sensa­zione, e non la nasconde, che sia una «monarchia as­soluta ». Come lui la pensa­no altri nel Pdl. Ma non lo dicono o lo dicono flebil­mente. Berlusconi, del re­sto, sembra avere una sin­golare difficoltà ad ascolta­re persino chi gli è vicino, figuriamoci gli avversari; dopo pochi istanti, attacca lui e all’interlocutore non resta spesso che «prendere o lasciare». Nel mondo del­le aziende, da cui viene il premier, può essere utile o addirittura necessario che «il titolare» abbia — con l’ultima parola — anche la prima. In politica, non sem­pre lo è. Che Bersani sop­porti male come Di Pietro interpreta il ruolo dell’op­posizione, è un altro fatto. Egli — che ha militato nel Pci, che aveva una ben defi­nita, ancorché discutibile, cultura politica, laddove Di Pietro non ne ha alcuna — vorrebbe che l’opposizione facesse politica, mentre il suo compagno di strada fa solo cagnara.
Ma in tutti questi esem­pi, ci troviamo, a ben vede­re, sul terreno della psica­nalisi. Se, invece, ci si ad­dentra su quello della politi­ca si scopre che le differen­ze sono minori. La percezio­ne che, dentro e fuori il Pdl, si accredita della fron­da di Fini offusca il fatto che egli appoggia ciò che più conta per Berlusconi: le iniziative parlamentari in materia di giustizia per met­terlo al riparo dei suoi pro­cessi. La percezione che, dentro e fuori il Pd, si ha di Bersani, rispetto a Di Pie­tro, offusca il fatto che Pd e Idv raccolgono ancora con­sensi sull’onda di Tangento­poli e che il Pd non manife­sta alcuna intenzione di ri­vedere il proprio pensiero su Mani pulite. Il severo giudizio del Pa­pa sui media insomma è giusto. Per conoscere il mondo, occorre chiedersi «come è», non come «ci immaginiamo che sia». E se incominciassimo pro­prio noi giornalisti?
«Il Corriere della sera» dell'11 dicembre 2009

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