19 dicembre 2009

Con Ermete l’occulto generò la modernità

di Franco Cardini
Terribile, incoercibile, è la for­za delle cose che non sono, scriveva profeticamente Ar­turo Graf molti anni fa in apertura del suo saggio dedicato al diavolo. Anche Ermete Trismegisto rientra nel lungo catalogo di cose inesi­stenti che hanno segnato profon­damente e irreversibilmente la cul­tura del 'nostro Occidente': e non è detto che non sia stato dannoso, in quanto sta alla base d’infiniti so­gni esoterici e occultistici – 'erme­tici', appunto – che hanno parto­rito mostri e incubi tanto culturali quanto (e perfino) politico-utopi­stici. È da salutare comunque con grande interesse la raccolta di testi autenticamente e originariamente ermetici proposti dalla Fondazione Lorenzo Valla con il titolo La rive­lazione segreta di Ermete Trismegi­sto.
L’intera raccolta, a cura di Pao­lo Scarpi – storico delle religioni e classicista dell’Università di Pado­va – è programmata in due volumi, dei quali adesso è uscito il primo.
Ermete è, ovviamente, italianizza­zione del nome del dio ellenico Hermes, che i Romani identifica­rono con il ladro, mattacchione e maneggione Mercurio, ma ch’era in realtà messaggero degli dei ed e­nigmatica divinità del Mistero, del Segreto, del Viaggio delle anime verso l’Oltretomba. Il sapiente che portava il suo nome era identifica­to, nella cultura ellenistica, con il saggio dio egizio Toth, principal­mente sulla base di una profonda analogia formale di caratteri e di qualità; e l’epiteto di Trismèghistos rinviava iperbolicamente all’altez­za e alla profondità inarrivabili del suo sapere: il Tre Volte Grandissimo.
Che sia mai vissuto un filosofo non diciamo designato da tale nome e da tale epiteto, ma soprattutto ca­ratterizzato da quelle caratteristi­che, è con ogni palese certezza non vero. Eppure, gli scritti attribuiti a lui o che di lui parlano stanno sul serio all’origine e al fondamento della cultura moderna: una cultu­mondo ra 'razionalista' che, com’è stato più volte osservato, affonda – sia nell’Umanesimo, sia nell’Illumini­smo – le sue radici nella magia. E non v’è magia, non v’è astrologia, non v’è alchimia, nella modernità occidentale, senza rapporto con i testi ermetici.
Leggere le pagine accuratamente raccolte, nell’originale greco e nel­la traduzione italiana, nel libro a cura dello Scarpi, è un’avventura intellettuale straordinaria. Ma, poi­ché la loro vita è restata enigmati­ca e occulta per molti secoli, non è dall’antichità di essi che la nostra storia deve prendere avvio, bensì da quando, provenienti da Ales­sandria attraverso Costantinopoli, essi irrompono nell’Occi­dente moderno. Nel 1460 Cosimo de’ Me­dici si vide arrivare tra le mani una strana raccolta di testi greci che si presentavano come tradotti dall’an­tico e misterioso idio­ma egizio. Cosimo non era uomo colto, ma era assetato di cultura e gran mece­nate: mise immediatamente quel­lo che ancor oggi conosciamo co­me Corpus Hermeticum nelle ma­ni dell’intelletto più alto e del cuo­re più mistico della sua 'corte', il sacerdote, medico e 'mago' Mar­silio Ficino, che nel 1463-1464 lo tradusse in latino.
La raccolta è una straordinaria se­quenza di scritti, di solito in forma neoplatonicamente dialogica, che dispiegano l’immensa e profonda scienza dell’ordine del cosmo e del­le intime relazioni tra idee divine, astri ed elementi costitutivi del sublunare. Tra essi è di par­ticolare rilievo l’Asclepius, un vero e proprio trattato di magia che pre­tende di ricondurci alle pratiche e alle tecniche 'teurgiche' (quindi: manipolatrici delle divinità) dei sa­cerdoti egizi, ma che nella realtà delle cose c’introduce a un sapere composito e per molti versi di tipo sincretico, nel quale sembrano en­trare anche elementi ebraici, per­siani, indiani. In realtà, l’originale egizio di questi scritti non è mai e­sistito, per quanto i rapporti con la cultura dell’antico Egitto siano ef­fettivi e profondi: i testi sono d’ori­gine alessandrina, ma risalgono groppo modo ai secoli I- IV della nostra era: un paio di secoli dopo la tradu­zione in greco della Bibbia, quella detta 'dei Settanta'.
Senza i testi ermetici, il Rinascimento resta un fenomeno incom­prensibile: da Pico della Mirandola a John Milton e a Gior­dano Bruno, essi stanno alla base del­la nostra cultura ma­gico- esoterica, ma anche – paradossalmente? Non troppo – scientifica. In effetti, in pieno Seicento, Isaac Casaubon di­mostrò irrefutabilmente che essi non potevano provenire dalla profonda antichità che pretende­vano di detenere. Ma ormai filoso­fia, astrologia, alchimia e arte ne e­rano profondamente impregnate: e la 'rivoluzione tecnico-scientifi­ca' del Sei-Settecento non li fece tacere. Se ne abbeverarono profon­damente anche i padri della scien­za moderna, a cominciare da Isaac Newton; e, più tardi, l’ermetismo lasciò la sua impronta profonda non solo nella letteratura e nell’ar­te (pensate al Flauto magico di Mo­zart, ma anche a Blake, a Pound, a Borges…), ma anche nella filoso­fia e negli anfratti occultistici della politica. Il Novecento fiammeggia di riflessi ermetici, che giungono a sfiorare l’utopia comunista, il na­zismo, fino a personaggi come Raf­faele Mattioli. Non a caso, inda­gando sull’ermetismo come ' fe­nomeno carsico', lo Scarpi ricordi proprio il romanzo Ragtime di una quarantina di anni fa, dove si rie­voca il rapporto inquietante tra il grande magnate dell’industria Henry Ford e Pierpoint Morgan, mecenate americano collezionista di manoscritti e di opere d’arte.

Paolo Scarpi (a cura di), LA RIVELAZIONE SEGRETA DI ERMETE TRISMEGISTO, Volume I, Fondazione Valla/Mondadori Pagine 544. Euro 30,00
«Avvenire» del 17 dicembre 2009

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