06 novembre 2009

Una quasi unanimità anti sentenza ma con scopi diversi

Il Pd difende il crocifisso ma attacca il governo. Svolta cristiana della Lega
di Massimo Franco
La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo contro il crocifisso in classe ha fatto un piccolo miracolo: quello di creare una quasi unità nazionale a difesa del simbolo del cristianesimo. Forse perché la decisione è percepita come un'enormità, più che come il riconoscimento di un'Italia laica e multiculturale. E il timore di quella che nel centrodestra tendono a definire «deriva laicista» si mescola con il risentimento e lo stupore nei confronti di un'Europa accusata di «ateismo di Stato». Il governo italiano ha già deciso di contestare il verdetto, che risponde a un ricorso del 2002 da parte della madre di due alunni. Ma la distanza fra Roma e il tribunale di Strasburgo rischia di aumentare e di proiettarsi sull'Ue, sebbene la Corte non sia una sua istituzione. A parte alcuni esponenti del Pd, dell'estrema sinistra e i radicali, il fronte sembra compatto. Più che «guelfi» tifosi del Vaticano e «ghibellini» anticlericali, emergono difensori a vario titolo dell'identità del Paese; e attacchi trasversali contro la decisione. Gianfranco Fini, da tempo critico verso le posizioni vaticane, stavolta intravede «il laicismo più deteriore, con la negazione del ruolo del cristianesimo». Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, parla di un «buonsenso vittima del diritto», difendendo «l'antica tradizione» del crocefisso. La stessa Idv vede nella sentenza una risposta sbagliata alla domanda di laicità. Sono prese di posizione non scontate. Segnalano un approccio che dipende da una sensibilità radicata al di là delle appartenenze politiche e perfino religiose. Anche se ognuno ne fa un uso diverso, non immune da qualche strumentalità. Al Pd, il responso della Corte europea serve per additare presunti errori del governo. La coalizione berlusconiana è accusata di aver difeso male a Strasburgo la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, in realtà, replica evocando «un colpo mortale all'Europa dei valori»; e cogliendo un «pessimo precedente» per tutte le religioni. Ma è la Lega a usare le parole più forti. Per il partito di Umberto Bossi, attaccare la Corte dei diritti dell' uomo rappresenta un'ulteriore occasione per accreditare la «svolta cristiana» dopo anni di relazioni agrodolci fra il Carroccio e il Vaticano. Il tentativo di presentarsi come «nuovi crociati del cattolicesimo» è ostentato: per i leghisti il crocifisso è l'antidoto all' «Eurabia». L'Europa non è popolare dalle parti della Lega; e da ieri sembra esserlo meno anche in Vaticano: sebbene Cei e Santa Sede si sforzino di offrire un profilo moderato per non sovraesporre qualcosa «che non è solo un simbolo religioso ma anche un segno culturale». Guai, però, se «prevale una visione parziale o ideologica», avvertono i vescovi. La laicità «non è assenza di simboli religiosi, ma capacità di accoglierli e sostenerli», sottolinea Vincenzo Paglia, l'uomo della Cei per il dialogo interreligioso. Il Vaticano ritiene che tutto questo porti a non «amare e condividere l'idea europea». Il timore è che si radicalizzi il conflitto in un' Italia dove la convivenza tra fedi deve fare i conti con manifestazioni crescenti di xenofobia. L'effetto perverso del «no» della Corte potrebbe essere quello di alimentare le correnti più integraliste; e di provocare una chiusura a riccio di chi, a torto o a ragione, si sente minacciato nella propria identità.
«Corriere della Sera» del 4 novembre 2009

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