16 novembre 2009

Se la bellezza resiste a chi vuole distruggerla

Dagli affreschi di Pompei a quelli nell'ateneo padovano la creatività è secolare. Nel nuovo libro di Vittorio Sgarbi gli itinerari segreti della nostra arte, da Trieste alla Sicilia
di Vittorio Sgarbi
Il paese delle meraviglie è l’Italia. E noi siamo, inevitabilmente, Alice che si ritrova «nel bel mezzo di una fiaba»
L’Italia delle meraviglie è inesauribile, e lo è anche là dove ci si aspetterebbe desolazione e distruzione. Perfino nelle periferie. Chi mai immaginerebbe non a Venezia o a Treviso, ma poco lontano da Mestre un convento di monache di clausura che custodisce una delle più preziose icone di Costantinopoli (forse la Nicopeia) con una coperta d’argento, tra le più grandi e raffinate che si conoscano? Chi si aspetterebbe di trovare a Santa Cristina al Tiverone una delle più belle pale d’altare di Lorenzo Lotto? Ci si può perdere e girare e ritornare indietro, continuamente sorpresi come a Borso del Grappa, dove, nella chiesa di Sant’Eulalia, è custodita la lapide del centurione Caio Vettonio Massimo, nella quale i nomi della primavera e dell’autunno sono poeticamente trasfigurati in due neologismi latini (così originali da stimolare certamente la fantasia linguistica di un Andrea Zanzotto): «Rosales et vindemiales», la stagione delle rose e la stagione della vendemmia.
Meraviglia e stupore ovunque: per esempio a Mussolente, sotto la vertiginosa Villa Piovene, nelle cui stanze segrete molti anni fa mi accadde di vedere una Madonna col Bambino di Alvise Vivarini. Palmo a palmo ho battuto negli anni lontani quel territorio, ritrovando la misura dei templi greci nella Villa Cappello di Cartigliano e, poco più lontano, i vagiti del primo Jacopo Bassano, a Santa Croce Bigolina, il cui solo nome evoca remoti piaceri infantili.
In Italia si possono vedere edifici mirabili ma recuperati e rovinati dal restauro, ed edifici in abbandono e in rovina ma d’intatta, miracolosa bellezza. Ogni espressione creativa ha un’escursione millenaria: dagli affreschi della Villa dei Misteri di Pompei a quelli di Sant’Angelo in Formis a quelli di Campigli nell’ateneo padovano; dalla ceramica di Faenza alle ceramiche futuriste; i mosaici romani splendono da Piazza Armerina alle cupole bizantine di Milano, alle Gallerie del Vittoriano a Roma. Anche gli edifici minori contengono meraviglie. Nel cuore di Viareggio si può trovare, intatto, un villino con la cupola di una moschea, che fu ritiro impenetrabile di Marta Abba e Luigi Pirandello. Un viaggio sul Po può essere più sorprendente e mitico di un’escursione nelle isole dell’Egeo.
In Italia si è ovunque in villeggiatura. Ovunque vi sono ville, da Belluno a Ragusa, da Biella a Bagheria. E così come infiniti sono i luoghi dell’uomo, infiniti sono i paesaggi. Concetto che, con coscienza risorgimentale, viene ripetuto con insistenza dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, unendo in un solo sogno e in un solo pensiero Dolomiti ed Eolie come neppure Garibaldi, «a conferma della inscindibilità del nostro patrimonio nazionale, del patrimonio di storia e di bellezza che fa grande la nostra Italia». Grande e interminabile, per il Presidente come per il viaggiatore che si accinga a visitarla dedicandole dieci giorni o un mese o dieci anni.
All’ostinazione del viandante ogni luogo si mostra inesauribile, e in ogni paese, anche il più piccolo, si può fare un approfondimento, di casa in casa, di campagna in campagna, provando emozioni sempre nuove per ciò che a una prima visita era sfuggito e che non è soltanto riscoperto sotto un diverso punto di vista, ma è proprio non prima visto.
Con tenacia infaticabile privati e amministratori si sono accaniti per distruggere, rovinare, aggredire, sfregiare, torturare, l’Italia, che tuttavia resiste in vasti spazi remoti e incontaminati di paesaggio (e lì, allora, per non stare fermi, i vandali impiantano migliaia di pale eoliche). E resiste in centri storici fortunatamente spopolati e «non ancora riqualificati» da squalificati architetti-arredatori del tutto privi di sensibilità e innamorati delle proprie masturbazioni, intese come movimenti della mano per disegnare fioriere, fontane, panchine, lampioni e altri orrori usciti da fantasie turbate.
L’Italia resiste: ha visto sparire testimonianze di civiltà rurale e contadina, osterie, locande, fienili, ma regala ancora impreviste seduzioni. Naturalmente i viaggiatori non le preservano, semmai le consumano, nonostante il viaggio produca effetti positivi nell’illusione di quello che si chiama «sviluppo sostenibile», in realtà non sostenuto altro che dal desiderio di una resa economica: il turismo. Ma l’Italia più bella è quella che non rende, quella in cui il turista-viaggiatore non arriverà.
Esiste un’Italia non obbligatoria, non frequentata, non ricercata: lì si nascondono meraviglie misteriose. Entrate nella Basilica di Santa Maria Assunta a Camogli e visitate la bella sacrestia. Il parroco avrà la benevolenza di estrarre da una teca segreta la testa reliquiaria di san Prospero, sulla cui aureola si leggono il nome dell’autore Domenico De Ferrari e la data 1514. Una scultura ieratica e superba, riemersa in una stanza perfetta con la finestra aperta sul mare verso Punta Chiappa. Ma questa esperienza rara si può ripetere a Cagli, ritrovando avori protetti in un convento di clausura o a Banzi in Basilicata, rintracciando una scatola porta reliquie di Marianna Elmo; e così all’infinito. Ma dove ci porterà questo labirinto? Dove troveremo un filo?
Questo libro è stato concepito per nasconderne un altro, per indicare alcune rotte principali ed evitarle stabilendone altre proprie, tutte possibili e tutte legittime, inseguendo per esempio tozzi e agili montanari scolpiti nel legno nella Chiesa di san Martino a Cerveno, documenti di una storia dell’arte parallela rispetto a quella ufficiale che, Roma su Roma, da Bernini porta a Canova. Mentre nasconderemo, non senza stupore, l’opera di uno strano fotografo-antropologo interessato ai costumi popolari sardi: Ugo Pellis. Una scoperta preziosa, documenti fotografici di una civiltà recente e pur scomparsa, densi di vita, della verità della terra, del mondo pastorale, arcaico e non immortale. Meraviglie di fotografie, di miniature, di codici miniati, di coralli, di manoscritti. E nasconderemo Visso per colui che, interessato a vedere quadri del rinascimento marchigiano, scoprirà una rara serie di manoscritti leopardiani nei suoi versi più famosi. E così via.
Per tutto ciò che menzioneremo in questo libro, qualcosa d’altro, non meno importante, sarà nascosto e potrà essere oggetto di un vostro nuovo viaggio, di una vostra personalissima cartografia del cuore. Se il viaggio è ritornare sui passi di altri in altri tempi in altre vite, rievocare, veder riemergere fantasmi, allora mettetevi in cammino, non siate pigri, perché dalla vostra meraviglia deriva la vita dell’arte, dei luoghi, del nostro paese: l’Italia delle meraviglie.
«Il Giornale» del 16 novembre 2009

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