17 novembre 2009

Quella tavola di valori mura della casa comune

La scuola e la Costituzione
di Giuseppe Dalla Torre
Negli
Si dibatte in questi giorni, con diverse valutazioni, sull’introduzione nelle scuole italiane di un insegnamento sulla Costituzione e la cittadinanza. Qualcuno teme l’introduzione di una sorta di "catechismo laico"; altri pensa che sia inutile un insegnamento del genere, in una scuola che è propriamente a servizio della formazione culturale delle più giovani generazioni.
Al riguardo mi sembra che ci si dovrebbe innanzitutto porre il problema se la scuola sia chiamata solo a formare, quindi a fornire un’istruzione che porti competenze culturali ed anche – in certe scuole – professionali, o debba mirare pure all’educazione della persona. Personalmente ritengo che l’educazione non possa essere esclusa dai compiti della scuola; soprattutto l’educazione al vivere sociale, alle ragioni dello stare insieme, ai valori che ci accomunano nonostante le diversità che ci distinguono e ci potrebbero dividere, al perché incombono su tutti i consociati doveri – che la nostra Costituzione all’art. 2 definisce come «inderogabili» – di solidarietà.
«L’Italia è fatta, facciamo gli italiani»: così, come noto, Massimo D’Azeglio in relazione al compimento del processo di unificazione nazionale; si tratta di un compito che è stato molto benemeritamente assolto dalla scuola. Ma ognun vede come si tratti di un compito mai conchiuso definitivamente; come ogni nuova generazione debba essere educata alla cittadinanza; ed ancor più come oggi, dinanzi all’imponente fenomeno immigratorio, questo compito appaia necessario ed urgente rispetto ai piccoli immigrati chiamati a divenire cittadini italiani.
Ma educare a quali valori? Qui il problema diventa più complesso, perché siamo ormai una società pluralista da questo punto di vista. In passato le comunità politiche, in quanto aggregazioni sociali con fini politici i cui membri sono legati da vincoli comuni, hanno trovato il punto di aggregazione nella etnia, nella religione, nell’idea di nazione, in una condivisa ideologia. Ma in una società pluralista, dove i fattori comuni sono via via venuti meno, dove trovare il collante che tiene insieme le diversità? E d’altra parte il collante è necessario, pena la disgregazione sociale, il venir meno del senso di appartenenza e l’affievolirsi fino allo scomparire dei vincoli di solidarietà.
È qui che entra in gioco la Costituzione che, prima di essere l’insieme delle regole fondamentali che organizzano e disciplinano la vita democratica, raccoglie la tavola di valori sulla quale gli italiani hanno convenuto di fondare la propria convivenza. Insomma: i valori costituzionali sono - per usare l’espressione di un pensatore che larga incidenza ha avuto sulla formazione della nostra Carta fondamentale, cioè Maritain – il «credo umano comune» che tiene insieme una società pluralista. Beninteso: la Costituzione si può cambiare. Ma fin tanto che non viene modificata, con l’apporto di tutti, rimane come le mura della casa comune, all’interno delle quali – ma non contro le quali – le diversità di posizioni sono legittime.
Dunque, se la scuola è chiamata a educare alla cittadinanza, la scuola di uno Stato democratico e laico qual è il nostro non può che educare ai valori per definizione condivisi, quali sono, appunto, quelli contenuti nella Costituzione. Del resto: se la Costituzione non si insegna a scuola, dove la si imparerà a conoscere? Dovrà rimanere monopolio delle conoscenze dei soli giovani che, specie in Università, affronteranno studi giuridici?
«Avvenire» del 17 novembre 2009

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