di Mario Iannoccane
Gli esperti di marketing la chiamano guerrilla marketing: suscitare interesse per un prodotto con mezzi poco convenzionali (provocazioni, polemiche, petizioni). Oggi, le Sturmtruppen che vigilano sul laicismo sono state arruolate nella difesa preventiva del film «Agorà», presunto caso di censura. Propongono petizioni perché il film, che racconta la morte della «martire della scienza» uccisa nel V secolo ad Alessandria d’Egitto, sia distribuito nelle sale italiane. «Sono passati 1600 anni e siamo ancora allo stesso punto», lamenta Odifreddi. I contratti di distribuzione non sono ancora stati firmati in Italia, piange l’Unità. Si sospetta, al solito, la longa manus del Vaticano (eppure la filosofa figura nella «Scuola d’Atene» di Raffaello...).
Dovrebbero sapere, costoro, che alle pellicole europee non si applicano gli automatismi distributivi della strapotente cinematografia americana; esse vengono distribuite con cautela per il rischio di flop. Difatti «Agorà» è un film di produzione spagnola, drammone del regista attivista Amenábar, ben fotografato e sceneggiato come da manuale. Rovinato tuttavia con semplificazioni da propaganda di guerra che con la potenza delle immagini e la suggestione della luce brucia ogni chiaroscuro. La filosofa Ipazia, che guidò una scuola neoplatonica, è rappresentata giovane, intelligente e bellissima (in realtà era vicina ai 60 anni), quando i cristiani, ignoranti, strillano agitando pesanti Vangeli. Mentre i pagani hanno occhi limpidi, sono chiarovestiti, stringono papiri e parlano con voci flautate, i cristiani sfoggiano l’occhio fisso del fanatico, sono infagottati in panni neri e brandiscono spade e spiedi. L’Ipazia di Rachel Weisz, intelligente e tollerante, ha la statura di un’eroina e si contrappone a una folla che ricorda l’armata di Brancaleone da Norcia. Veniamo al punto. Nel film si afferma, senza concessioni al dubbio, che fu il patriarca Cirillo ad ordinare l’uccisione di Ipazia. Per intolleranza e invidia. Non sapremo mai la verità, ma tutto lascia pensare che non sia quella raccontata nel film. L’inquieta Alessandria era teatro di frequenti violenze reciproche fra cristiani ed ebrei; di dispute fra cattolici, nestoriani e ariani e gruppi pagani e gnostici. Su tali complessità Amenábar passa un colpo di spugna. Nel 415 la filosofa s’inimicò la fazione dei «parabalanoi», un gruppo di fanatici eretici che Cirillo cercava di riportare all’ortodossia; alla prima occasione costoro linciarono la donna. Molti anni dopo due nemici di Cirillo, il nestoriano Socrate Scolastico e l’ariano Filostorgio, accusarono il patriarca d’aver pianificato l’omicidio. Paradossalmente, questo film «difeso» da intellettuali e da un piccolo esercito di giacobini, opera semplificazioni che ripugnano alla scienza (storica). Un’occasione perduta.
Dovrebbero sapere, costoro, che alle pellicole europee non si applicano gli automatismi distributivi della strapotente cinematografia americana; esse vengono distribuite con cautela per il rischio di flop. Difatti «Agorà» è un film di produzione spagnola, drammone del regista attivista Amenábar, ben fotografato e sceneggiato come da manuale. Rovinato tuttavia con semplificazioni da propaganda di guerra che con la potenza delle immagini e la suggestione della luce brucia ogni chiaroscuro. La filosofa Ipazia, che guidò una scuola neoplatonica, è rappresentata giovane, intelligente e bellissima (in realtà era vicina ai 60 anni), quando i cristiani, ignoranti, strillano agitando pesanti Vangeli. Mentre i pagani hanno occhi limpidi, sono chiarovestiti, stringono papiri e parlano con voci flautate, i cristiani sfoggiano l’occhio fisso del fanatico, sono infagottati in panni neri e brandiscono spade e spiedi. L’Ipazia di Rachel Weisz, intelligente e tollerante, ha la statura di un’eroina e si contrappone a una folla che ricorda l’armata di Brancaleone da Norcia. Veniamo al punto. Nel film si afferma, senza concessioni al dubbio, che fu il patriarca Cirillo ad ordinare l’uccisione di Ipazia. Per intolleranza e invidia. Non sapremo mai la verità, ma tutto lascia pensare che non sia quella raccontata nel film. L’inquieta Alessandria era teatro di frequenti violenze reciproche fra cristiani ed ebrei; di dispute fra cattolici, nestoriani e ariani e gruppi pagani e gnostici. Su tali complessità Amenábar passa un colpo di spugna. Nel 415 la filosofa s’inimicò la fazione dei «parabalanoi», un gruppo di fanatici eretici che Cirillo cercava di riportare all’ortodossia; alla prima occasione costoro linciarono la donna. Molti anni dopo due nemici di Cirillo, il nestoriano Socrate Scolastico e l’ariano Filostorgio, accusarono il patriarca d’aver pianificato l’omicidio. Paradossalmente, questo film «difeso» da intellettuali e da un piccolo esercito di giacobini, opera semplificazioni che ripugnano alla scienza (storica). Un’occasione perduta.
«Avvenire» del 13 novembre 2009
è il film spagnolo più visto dell'anno, con oltre 19 milioni di incasso in Spagna. Ha una distribuzione in Francia (esce a gennaio), Germania (esce a febbraio), negli USA (prima metà del 2010) e stanno chiudendo gli accordi per la distribuzione nel Regn Unito. Sia quale sia la storia, siano quali siano gli eventuali errori di Amenabar, gli unici sfigati che non potranno giudicare dopo averlo visto, tra i grandi Paesi d'Occidente, sono gli italiani. Io non mi vanterei di questo e troverei penoso che il mio PAese, per qualunque ragione, sia privato dell'ultimo film di un regista Premio Oscar i cui precedenti film sono stati distribuiti. Detto per inciso, io il film l'ho visto in Spagna, l'ho trovato pesante per le discussioni filosofiche, ho notato che i cristiani erano barbuti e arcigni come sono oggi i talebani, ma non l'ho trovato affatto un film contro il cristianesimo. Cirillo che ce l'ha con i pagani, poi con gli ebrei, poi alza il tiro contro le donne per arrivare a Ipazia è solo la dimostrazione del fatto che il fanatismo è pericoloso. Che bisogna saper convivere con gli altri. Che non si chiudono i templi di chi crede in altri dei. Che non si assedia la Biblioteca perché custodisce altre culture.
RispondiEliminaE' un film che invita a riflettere sul fanatismo per parlarci di convivenza e tolleranza, perché se non impariamo a rispettarci "va a finire che Alessandria sarà vuota", come dice Ipazia nel film (e chissenefrega quanti anni avea Ipazia, quello che importa sono le idee di tolleranza e rispetto, razionalità e dubbio che rappresenta). Chi pensa che questo film sia contro il cristianesimo (il fatto che in questo caso i fanatici siano cristiano è incidentale), semplicemente non l'ha visto.