16 novembre 2009

Libri per ragazzi: perché di serie C?

di Mino Milani
Mi sono chiesto, e qualche volta ancora mi chiedo, quali in realtà siano i libri per ragazzi. Uno dei miei desideri più vivi, e nato morto, è quello d’essere stato nel piccolo numero di persone alle quali Jack London, in una notte che mi pare magica, lesse il suo capolavoro, Il richiamo della foresta. Chi, tra i fortunati presenti, avrebbe mai pensato che quelle pagine, di lì a non molto, sarebbero state considerate ' per ragazzi'? Chi avrebbe potuto credere che un racconto così spietato, così crudele, così disperatamente vero, sarebbe stato catalogato nella serie C, destinata ai giovani?
Lo stesso era già accaduto a Robinson Crusoe, a Gulliver e ad altri, in barba a quello che i loro autori avevano pensato di dire, ammantando d’avventura politica e filosofia. Questi libri ( cui dei molti che potrei, un solo altro unisco, il capolavoro inarrivabile di Stevenson, L’isola del tesoro), questi libri che il pubblico giovanile scoprì e, pur non potendo intenderli a fondo, mostrò d’apprezzare, vennero perciò stesso retrocessi, o guardati con diffidenza.
Per via dei titoli, anche.
Ero stato in una grossa e linda cittadina veneta, ad incontrare insegnanti, e avevo comunicato loro il mio ottimismo sulla risposta dei ragazzi alla lettura; alla fine, una ancora giovane professoressa, che ben si presentava, e che mi pareva insomma adatta al suo incarico, mi chiese quale libro le raccomandassi per la sua classe « di ragazzi intelligenti » , come precisò; e avendole segnalato L’isola del tesoro , mi rivolse un’occhiata tra lo sdegnato e lo stupefatto e con due parole se ne andò.
L’isola del tesoro, figurarsi! Il richiamo della foresta, pensate voi, Gulliver nel paese dei giganti, via! E figurarsi se avessi proposto Pinocchio ! Pinocchio resta quello che è, anche se ad alto livello se ne è molto intelligentemente discusso, e se s’è cercato di dimostrarne il valore letterario e fantastico assoluti. C’è stata anche qui, naturale, qualche sbavatura, per cui se qualcuno osa dire che si tratta d’un libro per ragazzi, o addirittura per bambini, è fatto oggetto di occhiate e parole sdegnate, quelle che si rivolgono ad un poveraccio che nulla ha capito di quanto ha letto; ma sì, la solita storia: se un libro è buono, è bello, è grande, non può essere un libro per ragazzi. ( Tra parentesi, quell’insegnante veneta scelse per i suoi La coscienza di Zeno e qualche mese dopo mi scrisse, a smentire l’ottimismo circa la buona disposizione dei ragazzi alla lettura: « I buoni libri non li interessano e anzi li annoiano. Fanno solo finta di leggerli » .) Bene. Torno alla domanda: qual è un libro per ragazzi? C’è una letteratura per ragazzi, o solo una letteratura dei ragazzi? Dipende da chi affronta il problema. Se lo fanno, per chiamarli così, gli « addetti ai lavori » , il discorso s’approfondisce, s’articola, diventa concreto… No, m’accorgo di stare sbagliando. Avrei dovuto scrivere: il discorso lo fanno, e bene, soltanto i volenterosi che affrontano la questione. Gli altri, diciamo i critici letterari ufficiali, non lo fanno affatto; forse rammentandosi dell’ammonimento del vecchio Croce, e delle sue idee circa l’affrancamento della vera letteratura da qualsiasi preoccupazione che non sia estetica; per cui oggi chissà dov’è la vera letteratura.
In ogni modo, ufficialmente non è in quella per ragazzi.
Del successo dei successi, le avventure di Harry Potter, s’è detto ogni cosa e magari anche di più, non c’è giornale nazionale che non v’abbia dedicato articoli d’ogni tipo: si è taciuto però sulla reale destinazione del libro, essendo imbarazzante ammettere che non si tratta, infine, d’una cosa per adulti. Se ne fa un caso letterario e basta. Più o meno lo stesso è accaduto per Jules Verne, di tanto in tanto ricordato non già per i suoi romanzi d’avventura, ma per le sue fantasiose quanto ingenua anticipazioni del futuro: viaggi sulla Luna, al centro della Terra eccetera; e considerato l’anticipatore della navigazione nucleare soltanto perché il primo sommergibile atomico è stato chiamato ' Nautilus', come quello del capitano Nemo. Di costui, invece, nulla; come dell’Isola misteriosa, dei Figli del capitano Grant, di Michele Strogoff. Nulla della forza narrativa, dei perfetti meccanismi delle storie verniane.
E ancora, Gianni Rodari, per esempio, è citato dalla grande stampa, dunque dalla critica, se non ufficiale, certo più prestigiosa e ascoltata, non già per quanto ha scritto in fiabe racconti poesie filastrocche per ragazzi e bambini: ma per il libro che questi mai leggeranno, vale a dire la Grammatica della fantasia.
Ho sentito dire, non so più da chi, che qualche anno fa, discutendosi al Ministero della Pubblica istruzione di programmi scolastici e di libri da proporre agli studenti, un consulente presentò una bozza di programma ( si dice così?) che divideva la letteratura in due sezioni, la maggiore e la minore. I libri per adulti erano nella prima, quelli per ragazzi nella seconda sezione, chiunque li avesse scritti, e indipendentemente dal loro valore. Povero Pinocchio . E poveri, con lui, tanti altri.
Ma sì, il genio della razza. Francesco Flora nel suo La poesia ermetica, che sarà pure un libro datato, ma che al suo tempo chiarì molte idee, scrive: « So di un professore che valutava l’importanza dei classici latini a seconda della classe in cui erano studiati. E a chi un giorno esaltava i Commentari di Cesare: ' Puah!' rispose ' Un autore di terza ginnasiale!' ». Tale « metro d’ilare stranezza » , come Flora lo giudicava, è tutt’altro che dismesso; e a qualche mite ilarità porta davvero.
Tornando a Verne, quando il suo celebre Il giro del mondo in ottanta giorni fu pubblicato nei Millenni, con un bel saggio introduttivo di Michel Foucault, alte voci intellettuali espressero seriosissime e forse commosse considerazioni sulla sua perfezione assoluta, sul suo inimitabile ingranaggio; Jules Verne dello stesso romanzo ( pubblicato da Mursia nella Corticelli) sarebbe senza dubbio stato liquidato con uno sprezzante sfarfallare di mano: « Puah! Un autore per ragazzi! » .
Che si fa? Ci si può spendere un sorriso?
«Avvenire» del 15 novembre 2009

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