06 novembre 2009

Da Verga a Tondelli, il cinema parente stretto del romanzo

di Pietro Gibellini
Negli ultimi anni il tema dei rapporti tra la letteratura e il cinema sembra essere di particolare attualità. Diverse pubblicazioni si succedono sul tema, che viene a vario modo frequentato e dissezionato. Fra le uscite più recenti, maritano attenzione tre volumi originali, di taglio diverso fra loro: La letteratura italiana e il cinema di Giovanni Marchesi (Cuem, Milano, pp. 256 + cd), I romanzi in vetrina dal barbiere. Le scritture alla prova del film di Federica Capoferri (con prefazioni di Alessandra Ruffino e Flaminio Di Biagi, La Finestra, pp. 160) e Letteratura e cinema di Alessandro Cinquegrani (La Scuola, pp. 288). Mentre il primo si offre come utile strumento di lavoro, soprattutto grazie al cd che fornisce un’ampia antologia dei testi letterari che parlano di cinema, il secondo manifesta fin dal titolo la sua natura ambiziosa nella scrittura e nell’argomento che vuole tornare sull’annoso problema della natura letteraria della sceneggiatura, e il terzo, infine, fresco vincitore di una menzione speciale come miglior libro di cinema al prestigioso premio Efebo d’oro, ripercorre ordinatamente l’intera storia dei rapporti tra le due arti, dalle origini ai giorni nostri: una storia, invero, non sempre idilliaca ­l’autore parla di «ambivalenza affettiva» - eppure sempre intensissima dagli esordi - Verga, Pirandello, i Futuristi - ai giorni nostri - Ammaniti, Baricco, i Cannibali - finora mai esplorati così come meritano. È un progetto difficile, questo di Cinquegrani, ma di cui si sentiva il bisogno: riprendere ordinatamente e passo passo, non tanto la storia dell’adattamento cinematografico, ma quella della penetrazione culturale del cinema e della sua influenza sulla scrittura letteraria e viceversa della scrittura letteraria sulla rappresentazione sullo schermo, comporta innanzitutto uno sforzo di sintesi, che certo sacrifichi qualche passaggio e qualche nome, ma restituisca ugualmente una storia completa e in continua evoluzione. Di questa fruttuosa sinergia dà un senso preciso l’antologia che occupa quasi metà di questo volume Letteratura e cinema e offre uno spaccato dei punti più interessanti di questo rapporto. Vi si può trovare, allora, dai testi più noti e riconosciuti come ampi stralci dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore o il Manifesto della cinematografia futurista a significativi confronti tra opere letterarie e cinematografiche, come una novella di Boccaccio e il suo adattamento pasoliniano o uno stralcio di Tempo di uccidere tratto dal romanzo e dalla sceneggiatura dello stesso Flaiano, fino a opere più inaspettate come un racconto incluso in Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli. Terminata la lettura dei tre libri, ci si conferma nell’idea che il cinema, sul piano dei genere espressivi, non sia accostabile al teatro, cui pure nei primi passi guardava come a una madre, ma sia diventato, nel corso del tempo, il parente più stretto del romanzo.
«Avvenire» del 6 novembre 2009

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