03 ottobre 2009

Tutti sanno che la stampa è l’unica cosa libera in Italia

Cari moralisti che sfilate oggi, lo sapete che dopo vi sentirete peggio?
di Umberto Silva
Sarebbe confortante che Repubblica ritirasse le perfide domande e Berlusconi le semiquerele, mentre Feltri adotta dieci piccoli indiani e Travaglio si prende cura delle foche nane. Purtroppo non ci sono segnali di lieto fine. Il vecchio leone ferito si difende sferrando colpi bassi, alti e proibiti ai suoi assalitori che non mollano la presa; anche se tutto ormai pare perdere di senso, il cazzeggio rivelandosi più annichilente di una guerra civile. Oggi migliaia di persone scenderanno in piazza con il proposito di dare un senso a tutto quanto, ma non si avverte nessuna elaborazione in atto, nessun vero pensiero; che dire quando ci si riduce a evocare la virtù della Levi-Montalcini solo per dare addosso alla Canalis? Vorrei mulinare la durlindana, ma mi cadono le braccia.
Vaghe stelle sfilanti sotto il sole di Roma, tutti sappiamo che la stampa è l’unica cosa libera in questo paese dove persino i vespasiani sono lottizzati, di chi e di cosa realmente volete vendicarvi? Non è il caso d’interrogarsi in merito? No, troppo arrischiato intendere certe cose, e doloroso ammetterle. Altro che rifiuti differenziati, ci si accontenta di scaricare le nostre paturnie addosso a un… un che? Va da sé che ci si ritrova tutti imbrattati. Chiamiamo diavolo lo specchio delle nostre brame; carnefice chi non offre il collo alla nostra scure. Quando al vecchio leone passa la voglia di giocare, diventa una belva; ma anche i belli e buoni non scherzano. Il sedicente buono non si ferma davanti a nulla pur di realizzare il proprio altruismo, a confronto il crudele principe machiavellico è un principiante. Ricordiamoci però dei figli di Noè: quando Sem e Iafet videro il genitore ubriaco e nudo, pietosi lo ricoprirono e furono benedetti; allo scandalizzato Cam mal gliene incolse. Belli, buoni e depositari della verità… che mai sapete? D’essere il sale della terra? Sarà; intanto perfino nel gossip, arte in cui dovreste eccellere visto il costante allenamento, vi rivelate approssimativi e pasticcioni. Non che i vostri rivali siano santerellini, tutt’altro, ma il disincanto consente loro di trafficare più consapevolmente con il vero e con il falso. Travolti dall’ansia di fare il bene voi neppure riuscite a mettere insieme due più due. La gente si spaventa.
Al diavolo le ubbie, oggi sarà un grande giorno. Che invidia per chi ancora riesce a fare di queste cose. Nemmeno quando per un biennio fui extracomunista ho avuto il coraggio di sfilare in un corteo; mi veniva da ridere peggio dell’infame Franti. Da allora la nostalgia mi tormenta; ah se avessi un po’ più fede anch’io oggi potrei rifarmi, non mancar più, sentire tra i profumi e i venti un riaffluir di sogni, un urger folle di voci verso un esito… Potere… Potrei con la gioia del furetto sfilare con voi per togliere al Cavaliere qualche tivù; ma quando si è presentata l’occasione non avete avuto il coraggio di farlo e questo pensiero mi trattiene. A muso duro sfilerei per la D’Addario in diretta, per Santoro santo e per non so che altro, se non temessi di sentire ad ogni nostro, il passo dei morti di Kabul. Un due, un due…
Dopo un’euforica matinée vi tornerà, con un sapore amaro, qualcosa di quel che state facendo, e già agli ultimi fuochi dell’autodafé vi sentirete peggio. Non ci si libera così facilmente dalle proprie ossessioni. Chiedetelo a Chateaubriand, uno non da poco: anni e anni dopo la morte dell’odiato Empereur ancora ne sentiva il fiato sul collo; chissà chi vedeva in quel tipo col tricorno, chissà chi diavolo è per ciascuno l’infaticabile pirata con la bandana. Domandiamocelo, accidenti, se no questo oggi sarà un ben triste giorno, come ogni festa comandata da un pensiero che impensato marcisce.
Sarà un giorno ancora più triste per chi ripone qualche residua speranza in una sinistra meno arrogante; essa brucerà sul rogo, non altri. Attenzione: Noè è campato novecentocinquanta anni. Urge Dio; senza quella dolcissima intimità che, insperata, nella notte più rigida ci riscalda, non si va da nessuna parte. Impossibile uscire dall’inferno se si pensa d’essere soli con i nostri vizi e virtù; lassù Qualcuno ci ama, dobbiamo ricordarcelo. Una preghiera: Buon Dio, T’imploro di allontanarmi dal partito preso, dal tornaconto e dalla vanità; non permettere che scriva come un cane rabbioso ma rendimi degno della paternità che mi hai elargito. Dacci il nostro pane spirituale quotidiano e fa che oggi tutt’a un tratto si levi un canto di gioia e di pace, allora sì sarebbe una vera vittoria. Per propiziarla, Vladimir Jankélévitch suggerisce di partire dall’idea che l’altro sia sempre un po’ meglio di noi
«Il Foglio» 3 settembre del 2009

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