22 settembre 2009

Seneca cristiano? Di certo lo era la sua famiglia

di Ilaria Ramelli
L’ipotesi che il car­teggio Seneca-Pao­lo, esclusa almeno l’Epistola XI, non sia neces­sariamente apocrifo è so­stenuta anche da indizi storici. Nerone prese a per­seguitare i cristiani proprio quando Seneca aveva per­so influenza su di lui. Gal­lione, fratello di Seneca, co­nobbe Paolo, accusato dai Giudei, a Corinto nel 51, quando, proconsole d’A­caia, rifiutò di processarlo (At 18,12-17), esempio dell’atteggiamento favore­vole di Roma verso i cristia­ni fino al 62. Ho già mostra­to che la datazione dell’e­pistolario conferma la cro­nologia alta, secondo cui l’arresto di Paolo a Gerusa­lemme fu nel 54, il suo arri­vo a Roma nel 56 e la sua assoluzione nel 58. Paolo, nel 58-9, era a Roma già da due anni ed era stato pro­cessato in un tribunale pre­sieduto forse da Burro o Nerone. Seneca quindi, fra­tello di Gallione e vicino a Burro e Nerone, poteva co­noscere Paolo, che predica­va a Roma (At 28,30-31) e aveva discepoli persino nella «casa di Cesare» (Fil 4,22) – senza ipotizzare una conversione, che l’epistola­rio non presuppone e che è leggenda proto-umanisti­ca. Un’epigrafe del Museo Archeologico Ostiense (Inv. N. 11020) datata da G. Susi­ni alla fine del I secolo, non oltre la metà del II, suggeri­sce la precoce diffusione del cristianesimo nella gens Annaea in area romana: « D M M ANNEO PAULO PE­TRO M ANNEUS PAULUS FILIO CARISIMO [sic]».
Allora morì un cristiano degli Annei. «Paulus Pe­trus » associa i nomi dei due apostoli fondatori del­la comunità di Roma, ricor­dati insieme sin dagli inizî della tradizione, a partire da Clemente Romano, I­gnazio, Gaio dell’epoca di papa Zefirino, e Dionigi di Corinto. Avendo ricevuto il suo nome cristiano qual­che anno prima, e da per­sone probabilmente già cristiane della gens Annaea, come suo padre, questo giovane attesta che a fine I secolo il cristianesimo era nella gens di Seneca. Sem­pre allora, da ambienti se­nechiani sembra provenire, se non è di Seneca, l’Hercu­les Oetaeus , con possibili allusioni ai Vangeli. A sug­gerire che il carteggio non sia necessariamente apo­crifo si aggiungono prove linguistiche e il fatto che nell’epistolario (tranne le Epistole XI e XIV) i riferi­menti alle lettere neotesta­mentarie di Paolo sono tut­ti a lettere autentiche (non deutero-paoline) e appar­tenenti alla più antica rac­colta delle epistole di Pao­lo. Un’analisi dei riferimen­ti neotestamentari nell’epi­stolario, che ho svolto per il Novum Testamentum Pa­tristicum, mostra che esso conosce le prime lettere paoline, ma non il resto del Nuovo Testamento. E gli e­chi più frequenti e impor­tanti di concezioni ed e­spressioni delle lettere au­tentiche di Paolo nel Nuo­vo Testamento sono ri­scontrabili nelle lettere del­l’epistolario attribuite a Paolo, mentre le lettere di Seneca denunciano frain­tendimenti del pensiero di Paolo. Alcune lettere paoli­ne neotestamentarie sono non solo riecheggiate, ma menzionate in questa cor­rispondenza: qui è eviden­te la coincidenza con il pri­mo gruppo delle lettere neotestamentarie di Paolo, che cominciavano a circo­lare negli anni dell’episto­lario in una piccola raccol­ta: Galati, prima e seconda Corinzi, citate nell’Epistola VII. Un falsario avrebbe parlato di una sola lettera, o del corpus completo con lettere pseudo-paoline, o avrebbe citato un gruppo di lettere non corrispon­dente esattamente alla rac­colta più antica. Avrebbe citato la lettera ai Romani, che Paolo scrisse ben pri­ma di recarsi a Roma. Ma nell’epistolario non ve n’è traccia, poiché non era in­clusa nella prima raccolta.
E non sarebbe stato pru­dente leggerla all’impera­tore: rivelava i nomi di molti cristiani di Roma. E sarebbe stata inopportuna per un pagano: si occupava del rapporto giudaismo­cristianesimo e della grazia e presentava i pagani come oggetto dell’ira di Dio. Le parole dell’Epistola I – Li­bello tuo lecto, id est de plu­rimis aliquas litteras quas ad aliquam civitatem seu caput provinciae direxisti («Avendo letto il tuo libret­to, cioè alcune lettere tra le molte che hai inviato ad al­cune città o capoluoghi di provincia») – confermano che l’epistolario presuppo­ne alcune lettere di Paolo già circolanti, in un libretto. Seneca chiama libello tuo le lettere della raccolta, tra le molte che Paolo aveva scritto: aliquas de plurimis.
Anche queste coincidenze fanno pensare.
«Avvenire» del 22 settembre 2009

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