18 settembre 2009

Giornali, ritorno all’etica (2)

Sciortino: «Libertà di critica, essenza della democrazia»
di Edoardo Castagna
« Ne verremo fuori se o­gnuno tornerà a fare bene il proprio me­stiere: i giornalisti a fare bene i gior­nalisti, i politici a fare bene i politi­ci, e tutti al servizio: i giornali, dei lettori; i politici, dei cittadini». Inve­ce, per il direttore di Famiglia cri­stiana Antonio Sciortino, «i ruoli si sono confusi, e tutti sono venuti me­no alla propria missione. La libertà di stampa è un bene prezioso per la de­mocrazia: per que­sto deve interessare tutti, in modo tra­sversale, e va evitata qualsiasi forma di strumentalizzazio­ne. Dove c’è meno opinione libera, c’è meno democrazia».
E lei crede che oggi in Italia la de­mocrazia corra un reale pericolo? «Il livello di democrazia di un Paese si può misurare proprio dal tasso di libertà della stampa e dalla vivacità dell’opinione pubblica: ma oggi in Italia i giornali non sono al servizio dei lettori, ma dei potenti di cui in­vece dovrebbero essere voce critica. Se si arriva a dover fare una manife­stazione pubblica per difendere la libertà di stampa, come quella in programma per il 19, allora io credo che qualche problema in questo set­tore il Paese ce l’ha. Il vizio di fondo è quello della concentrazione dei mezzi di comunicazione in poche mani e dalla quasi totale mancanza di editori puri, che rispondono e­sclusivamente agli interessi del­l’informazione. Altro problema se­rio è che in Italia la stampa, invece di essere concorde nella difesa del­le proprie prerogative di libertà, di informazione e di critica, si è frazio­nata e politicizzata, con giornali con­trapposti gli uni agli altri. A me di­spiacerebbe tantissimo se la mani- festazione del 19 assumesse colori­ture politiche, come se la stampa at­tribuita all’opposizione scendesse in piazza contro la stampa schiera­ta con il governo. La libertà di infor­mazione e di critica in un Paese de­mocratico non deve essere vista co­me un fastidio, perché la stampa non è fatta per adulare; bisogna che i giornalisti non abbiano bavagli e magari facciano autocritica, chie­dendosi quanto siano in grado di mantenere la schiena diritta e quan­to invece non si prestino a servizi, talora neanche richiesti, a favore del potere».
Non c’è anche un problema tecni­co, del come si fanno i giornali? Si spia dai buchi della serratura, si brandiscono lettere anonime e fo­to paparazzate… «Io richiamo all’etica professionale. Se noi applicassimo sempre quella deontologia che è il fondamento del nostro mestiere, allora eviteremmo di trasformare le parole in proiettili e di usare il potere mediatico che ab­biamo in mano per danneggiare le per­sone e non per ser­vire il Paese».
C’è stata anche una confusione delle tradizionali diffe­renze di ruoli tra stampa rosa e stam­pa d’informazione? « Io credo che oggi abbiamo un eccesso di informazio­ne tale da portare a essere meno informati, con minor approfondi­mento e minor comprensione. Il ruolo del giornalista nel mondo di internet è ancora più importante, perché deve aiutare a capire qual è la realtà e qual è il contesto entro il quale una notizia va inquadrata. Non certo eseguire ordini politici di servizio».
Non solo invece si conducono bat­taglie politiche, ma queste sono fat­te non sulle idee, ma contro le per­sone... «Sì, questa è un’altra anomalia. Ca­pita anche a noi di essere criticati per delle posizioni che prendiamo, però – come è avvenuto anche nel caso di Dino Boffo – non si entra nel merito delle questioni ma si cerca di delegittimare la persona, attaccan­dola pesantemente e lanciando av­vertimenti e intimidazioni. Questa è una vera e propria degenerazione del nostro modo di fare informazio­ne ».
«Avvenire» del 9 settembre 2009

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