30 agosto 2009

Un popolo di poeti (anche a pagamento)

Si moltiplicano le iniziative per gli esordienti. Nei versi cresce l'attenzione alle questioni ambientali
di Paolo Di Stefano
Tre milioni di «scrittori», più di 850 case editrici I premi sommersi da centinaia di opere in concorso
Che fine ha fatto il popolo di santi, navigatori e poeti? I santi, come si sa, sono in netto calo, e i soli navigatori rimasti degni di questo nome sono quelli virtuali. I poeti, invece, continuano a fiorire. Se un giurato del premio di poesia Camaiore, come il sottoscritto, si vede recapitare quasi 250 titoli in concorso, è segno che quello italiano è ancora un popolo di poeti. Se ci sono case editrici che vivono (e bene, a quanto pare) delle pubblicazioni a pagamento di raccolte poetiche, non c'è dubbio: produciamo più poeti che santi e navigatori. Di che genere? Vedremo. Basta dare un' occhiata ai cataloghi online di Firenze Libri, dell' Editrice Nuovi Autori di Milano, della Sovera e del Filo di Roma per avere un' idea della quantità di versificatori che calcano il suolo del Belpaese e che pur di vedersi pubblicato un libretto sono disposti a sborsare qualche biglietto da mille. Prendiamo il Gruppo Albatros Il Filo (Alda Merini presidente onorario). Funziona così. Attraverso pubblicità sui maggiori giornali, la casa editrice comunica la propria disponibilità a valutare e a selezionare gratuitamente le opere inedite di scrittori «emergenti». In genere, l'editore si dice interessato alla pubblicazione e a quel punto propone un contratto che prevede l'acquisto di un tot di copie (tra le 100 e le 200) da parte dell'autore a prezzo di copertina (12 euro). In cambio, si promettono la distribuzione delle eventuali altre copie stampate, ma non si tratta certo di distribuzione nazionale; un'intervista trasmessa da una emittente molto locale; una presenza nel sito della casa editrice; un paio di presentazioni in libreria (da stabilire). A questi patti, la raccolta viene confezionata con una prefazione che salvo eccezioni porta firme sconosciute al mondo della critica. Il discorso prefazioni delle raccolte a pagamento meriterebbe un capitolo a sé (i cosiddetti paratesti, titoli, sottotitoli, copertine, risvolti, biografie e presentazioni la dicono già lunga sulla serietà di molte proposte), ma basti dire che, al di là del tono in genere sostenuto finto-accademico, si rivelano spesso in sintonia con quell'idea di poesia adolescenziale e romantica tipica della gran parte dei testi. Trionfano i «messaggi lanciati», le «riflessioni su cui meditare», gli «accenti dolenti»... Si veda un esordio come questo: «Chi ha contratto in giovane età il vizio di contemplare il mare ha una forte possibilità di sviluppare, con il passare degli anni, una grave infezione poetica». Oppure la visione che viene fuori da questa notazione: «I temi canonici della poesia: l'oltre, la vita come consunzione, il tempo che macera, l'amore che salva e, soprattutto, il nulla, e l'idea che esso sia alla base di tutto». Intendiamoci: niente di male nel soddisfare, dietro compenso, l'esigenza - di insegnanti in pensione, pubblicitari, commercianti, periti aziendali, professionisti, impiegati, medici - di vedersi materializzare i propri «sfoghi» poetici in un libretto. Ma si tratta di un'attività più vicina alla tipografia che a una vera e propria editoria (selettiva e autosufficiente). Un modo per dare conforto a quella che in una delle prefazioni viene definita con una formula molto franca: «L'incompetenza dei dilettanti ma l'entusiasmo dei semplici». Incompetenza nel senso che questi testi non nascono da una ricerca verbale o da una particolare consapevolezza di studio e di lettura. Entusiasmo perché rivelano comunque, al di là dei risultati, un intimo slancio comunicativo consegnato al prestigio della carta stampata, nonostante gli innumerevoli laboratori online. Certo, questo conferma quel che si dice da tempo e che sembra un paradosso: che in Italia sono più i poeti che i lettori di poesia. Almeno a giudicare dai debiti più visibili, che risentono di remoti echi scolastici e che sia pure privilegiando il metro libero (e non potrebbe essere diversamente) ignorano le migliori esperienze contemporanee. Insomma, restiamo un Paese di versificatori indefessi. L'esperienza di un giurato del Camaiore consente di farsi un'idea della consistenza del popolo dei dilettanti, ma anche di ciò che sta sotto le punte d'iceberg proposte dalle collane arcinote (che rimangono la Bianca di Einaudi, lo Specchio di Mondadori, la Garzanti, la nuova Scheiwiller, la Fenice contemporanea di Guanda, Crocetti, Donzelli e poco altro). Con diverse scoperte: per esempio certi piccoli o minuscoli o minimi editori locali che (anche, si suppone, rischiando economicamente) non si stancano di proporre novità promettenti. Semmai, ci sono editori medi che non mollano, sia pure con uscite sporadiche, la poesia: Jaca Book, Viennepierre (dove è apparso l'ultimo Silvio Ramat, Canzoniere), Marietti, Manni, Effigie (editore di un formidabile e arditissimo Ivano Ferrari, Rosso epistassi), Aragno, Quodlibet, marcos y marcos... Se un esordiente (ma solo se fedele lettore a sua volta di poeti e se criticamente avveduto) dovesse chiedere a chi rivolgersi per una pubblicazione, non sarebbe male che guardasse fuori dai soliti circuiti: ad Atelier di Borgomanero (legata all' omonima «rivista militante» di Giuliano Ladolfi e Marco Merlin: da segnalare l'esordio eccellente di Giovanna Rosadini, Il sistema limbico), alla Nuova Editrice Magenta (Varese) di Dino Azzalin e Angelo Maugeri, ai «libriccini da collezione» di Lieto Colle (di Faloppio, in provincia di Como), a Fara di Rimini, alla Empiria, alla Genesi di Torino, all'Obliquo di Brescia, alla Mobydick di Faenza, alle preziosità della Vita Felice di Milano (dove è apparso l'ultimo Michelangelo Coviello, Casting), alle Edizioni della Meridiana di Firenze, alle plaquettes de Il Faggio curate da Giancarlo Majorino, all'elegante serie della Collana Stampa, confezionata a Brunello (Varese) e curata da Maurizio Cucchi: che di recente ha pubblicato una raccolta in dialetto milanese di Vivian Lamarque (La gentilèssa) e una silloge di Biancamaria Frabotta intitolata I nuovi climi. E chissà a quante altre ancora. Verrebbe da dire, a chi lamenta l'assenza di un'editoria di poesia, di guardarsi bene intorno prima di aspirare ai colossi. Avvertendo (per non creare eccessive illusioni) che la distribuzione è minima (circolazione in genere da rivista) e che la crisi degli ultimi mesi ha ridotto anche il mercato della poesia: e un risultato considerato accettabile da Einaudi o Mondadori è attorno alle duemila copie. I nuovi climi, si diceva. Se si eccettuano le numerose raccolte (ma sono le più ingenue) di carattere vagamente sentimentale, di sospirosità autobiografiche, di ispirazioni cosmiche, religiose o metafisiche, di sempliciotti slanci civili, il motivo più ricorrente (e forse più appagante sul piano poetico) è quello dei mutamenti devastanti del paesaggio e dei guasti ecologici che minacciano la natura, con il senso di precarietà e di spaesamento che ne deriva. Sorprendentemente, è una sensibilità che si avverte in verticale, negli autori più, diciamo, ingenui, dove trova una declinazione nostalgica (sin dai titoli: «Cielo indiviso», «Tevere in fiamme», «Il respiro dell' ametista»...) e nei più avvertiti: si diceva della Frabotta, ma bisognerà aggiungere lo stesso Giancarlo Majorino de La nube terra e le due ultime uscite einaudiane: Roberta Dapunt (La terra più del Paradiso) e Fabio Pusterla: Le terre emerse, poesie scelte 1985-2008, abitate da dronti, albatros, crocus, merli, ghiandaie e pitosfori nella deriva di putridumi e torbiere, rappresenta in questa direzione il miglior risultato prodotto dalla generazione dei cinquantenni. Anche ai poeti a pagamento non farebbe male leggerlo.
«Corriere della Sera» del 3 agosto 2009

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