11 luglio 2009

Siamo tutti ayatollah

di Massimo Gramellini
L’Iran che condanna l’Italia per aver usato la forza contro i No global sembra la favola del bue che dà del cornuto all’asino. In realtà è solo l’ultima manifestazione del «così-fan-tuttismo». Quando il governo di Teheran convoca il nostro ambasciatore per contestargli il comportamento della polizia italiana all’Aquila, sta compiendo un’operazione politica: vuol far sapere al mondo che il bene e il male dipendono dai punti di vista e perciò non esistono. Il Potere chiama «male» ciò che vuole sovvertirlo: qui gli anticapitalisti, là gli oppositori. Quindi, delle due l’una: o il Potere sbaglia sempre a difendere se stesso con la forza, oppure non sbaglia mai. Qualunque distinzione ulteriore è frutto di ipocrisia.
Ovviamente noi sappiamo che le cose non stanno così. Che l’Occidente ha un sistema di libertà e contrappesi istituzionali che lo rende un po’ meno ingiusto e arbitrario del suo concorrente. Da noi non si persegue l’idea, ma la violenza. Non l’anticapitalista, ma l’anticapitalista con l’estintore. Però nel gorgo del «così-fan-tuttismo» ogni distinzione evapora. Prendiamo il caso più frequente: l’infrazione della legge. Appena qualcuno viene sorpreso a rubare, non dice che ha rubato, ma che rubano anche gli altri. Quindi, se non vanno in galera gli altri, non deve andarci nemmeno lui, altrimenti sarebbe un’ingiustizia, un complotto, un golpe.
Poiché - chi più chi meno - lo fanno tutti, liberi tutti di continuare a farlo: ecco l’unica ideologia che mette d’accordo manager e ayatollah
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"La Stampa" dell'11 luglio 2009

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