19 marzo 2008

Feyerabend e Galileo: il testo mai letto in Italia

Il Papa e la «sentenza razionale» sullo scienziato
Di Paul Feyerabend
Ecco il capitolo del filosofo citato dall’allora cardinale Ratzinger all’origine della rivolta di un gruppo di docenti universitari
La Chiesa all’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione. Nel XVII secolo vi furono molti processi. L’azione legale si avviava a seguito di accuse mosse da privati, o di un atto ufficiale di un funzionario pubblico, o di un’indagine, basata a volte su sospetti piuttosto vaghi. A seconda del luogo, delle competenze giurisdizionali e dell’equilibrio dei poteri, i crimini potevano essere investigati da tribunali laici, come quelli del re o di una libera città, da tribunali ecclesiastici annessi alle diocesi, per le questioni spirituali, o dai tribunali speciali dell’Inquisizione. A partire dalla metà del XII secolo, i tribunali episcopali si avvalsero in gran misura dello studio del diritto romano. Gli avvocati divennero così influenti che, anche in mancanza di una preparazione in diritto canonico e in teologia, venivano spesso preferiti ai teologi. I processi dell’Inquisizione non tenevano conto delle tutele previste dal diritto romano e diedero luogo ad alcuni eccessi, ampiamente divulgati. Una minore attenzione è stata tuttavia rivolta al fatto che gli eccessi dei tribunali laici erano spesso paragonabili a quelli dell’Inquisizione. Erano tempi duri e crudeli. Nel 1600 l’Inquisizione aveva perso molto del suo potere e della sua aggressività, soprattutto in Italia, e in particolare a Venezia. I tribunali dell’Inquisizione punivano anche crimini che riguardavano la produzione e l’uso della conoscenza. Questo si spiega con la loro origine: dovevano sradicare l’eresia, cioè un insieme di azioni, idee e dibattiti che portavano le persone a propendere per un determinato credo. Il lettore stupito che si chiede che cosa abbia a che fare la conoscenza con la legge dovrebbe considerare i molti ostacoli legali, sociali e finanziari che devono affrontare oggi i progressi delle conoscenze. Galileo voleva che le sue idee rimpiazzassero la cosmologia del tempo, ma gli fu proibito di lavorare in quella direzione. Oggi la ben più modesta aspirazione dei creazionisti a veder insegnate le loro opinioni nelle scuole, affiancandole e mettendole in competizione con idee diverse, si scontra con leggi che stabiliscono la separazione tra Chiesa e Stato. Una quantità crescente di conoscenze e tecnologie è tenuta segreta per ragioni militari ed è pertanto esclusa dagli scambi internazionali. Gli interessi commerciali generano le stesse tendenze restrittive. Così la scoperta della superconduttività nella ceramica a temperature (relativamente) alte, frutto di una collaborazione internazionale, ha indotto il governo americano ad adottare misure protettive. Accordi finanziari possono rendere possibili o interrompere programmi di ricerca, e influire su un intero ambito professionale. Vi sono molti modi di mettere a tacere le persone, oltre a impedir loro di parlare, e oggi li vediamo usati tutti. Il processo della produzione e della distribuzione del sapere non è mai stato lo scambio libero, «oggettivo» e puramente intellettuale che i razionalisti dipingono. Il processo a Galileo fu uno dei tanti. Non ebbe alcuna caratteristica speciale, se non forse il fatto che Galileo fu trattato con una certa moderazione, nonostante le sue bugie e i suoi sotterfugi. Ma una piccola conventicola di intellettuali, con l’aiuto di scrittori sempre alla ricerca dello scandalo, sono riusciti a montarlo enormemente, così quel che in fondo era solo un contrasto tra un esperto e un’istituzione che difendeva una visione più ampia delle cose ora sembra quasi una battaglia tra paradiso e inferno. È una posizione infantile e anche ingiusta nei confronti delle molte altre vittime della giustizia del XVII secolo. È particolarmente ingiusta nei confronti di Giordano Bruno, che fu mandato al rogo, ma che gli intellettuali di formazione scientifica preferiscono dimenticare. Non è l’interesse per l’umanità, sono piuttosto interessi di parte ad avere un ruolo importante nell’agiografia di Galileo. Ma esaminiamo la questione più da vicino. Il cosiddetto processo di Galileo consistette di due procedimenti, o processi, separati. Il primo si tenne nel 1616. Fu esaminata e criticata la dottrina copernicana. Galileo ricevette un’ingiunzione, ma non fu punito. Il secondo processo si tenne nel 1632-33. Questa volta il punto principale non era più la dottrina copernicana. Fu invece esaminata la questione se Galileo avesse obbedito all’ordine che gli era stato impartito nel primo processo e se avesse ingannato gli inquisitori facendo loro credere che l’ordine non fosse mai stato promulgato. Gli atti di entrambi i processi sono stati pubblicati da Antonio Favaro nel vol. 19 dell’Edizione Nazionale delle opere di Galileo. L’idea, piuttosto diffusa nel XIX secolo, che gli atti contenessero documenti falsificati e che quindi il secondo processo fosse una farsa, non sembra più accettabile. Il primo processo fu preceduto da voci e denunce in cui ebbero una parte avidità e invidia, come in molti altri processi. Si ordinò ad alcuni esperti di dare un parere su due enunciazioni che contenevano una descrizione più o meno corretta della dottrina copernicana. La loro conclusione toccava due punti: quel che oggi chiameremmo il contenuto scientifico della dottrina, e le sue implicazioni etiche (sociali). Riguardo al primo punto, gli esperti definirono la dottrina «insensata e assurda in filosofia» o, usando termini moderni, la dichiararono non scientifica. Questo giudizio fu dato senza far riferimento alla fede o alla dottrina della Chiesa, ma fu basato esclusivamente sulla situazione scientifica del tempo. Fu condiviso da molti scienziati illustri - ed era corretto fondandosi sui fatti, le teorie e gli standard del tempo. Messa a confronto con quei fatti, teorie e standard, l’idea del movimento della Terra era assurda. Uno scienziato moderno non ha alternative in proposito. Non può attenersi ai suoi standard rigorosi e nello stesso tempo lodare Galileo per aver difeso Copernico. Deve o accettare la prima parte del giudizio degli esperti della Chiesa o ammettere che gli standard, i fatti e le leggi non decidano mai di un caso e che una dottrina non fondata, opaca e incoerente possa essere presentata come una verità fondamentale. Solo pochi ammiratori di Galileo si rendono conto di questa situazione. La situazione diviene ancor più complessa quando si considera che i copernicani hanno cambiato non solo le idee, ma anche gli standard per giudicarle. Gli aristotelici, non diversi in questo dai moderni studiosi che insistono sulla necessità di esaminare vasti campioni statistici o di effettuare «precisi passi sperimentali», chiedevano una chiara conferma empirica, mentre i galileiani si accontentavano di teorie di vasta portata, non dimostrate e parzialmente confutate. Non li critico per questo, al contrario, condivido l’atteggiamento di Niels Bohr, «questo non è abbastanza folle». Voglio solo mostrare la contraddizione di coloro che approvano Galileo e condannano la Chiesa, ma poi verso il lavoro dei loro contemporanei sono rigorosi come lo era la Chiesa ai tempi di Galileo. Riguardo al secondo punto, le implicazioni sociali (etiche), gli esperti affermarono che la dottrina copernicana era «formalmente eretica». Questo significa che contraddiceva le Sacre Scritture così come erano interpretate dalla Chiesa, e lo faceva con piena consapevolezza della situazione, non involontariamente. Il secondo punto si fonda su una serie di assunti, tra cui quello che le Scritture siano un’importante condizione limite dell’esistenza umana e, quindi, della ricerca. Questa tesi era condivisa da tutti i grandi scienziati, tra cui Copernico, Keplero e Newton. Secondo Newton la conoscenza scaturisce da due fonti: la parola di Dio, la Bibbia, e le opere di Dio, la Natura, ed egli postulò l’intervento divino nel sistema planetario. La Chiesa romana sosteneva inoltre di possedere un diritto esclusivo sullo studio, l’interpretazione e la messa in atto delle Sacre Scritture. I laici, secondo la Chiesa, non avevano né le conoscenze né l’autorità per occuparsi delle Scritture ed era loro proibito farlo. Questa norma non dovrebbe sorprendere chi conosce i comportamenti delle istituzioni che esercitano un potere. L’atteggiamento dell’American Medical Association verso i professionisti che non ne fanno parte è rigido come quello della Chiesa verso gli esegeti laici - e ha la benedizione della legge. Esperti, o ignoranti che hanno acquisito il riconoscimento formale di una competenza, hanno sempre cercato, spesso con successo, di assicurarsi diritti esclusivi in ambiti particolari. Qualsiasi critica al rigore della Chiesa romana è valida anche nei confronti dei suoi moderni successori che hanno a che fare con la scienza. Passando ora dalla forma e dai presupposti amministrativi dell’obiezione al suo contenuto, notiamo che esso riguarda un argomento che sta diventando sempre più importante nel nostro tempo - la qualità dell’esistenza umana. L’eresia, intesa in senso lato, denotava una deviazione da comportamenti, atteggiamenti e idee che garantivano una vita equilibrata e santificata. Questa deviazione poteva essere incoraggiata dalla ricerca scientifica, e a volte lo era. Di conseguenza, era necessario esaminare le implicazioni eretiche degli sviluppi della scienza. In questo atteggiamento sono presenti due idee. Anzitutto, si dà per scontato che la qualità della vita possa essere definita indipendentemente dalla scienza, che essa possa trovarsi in conflitto con esigenze che gli scienziati considerano naturali componenti della loro attività, e che conseguentemente sia la scienza a dover essere modificata. In secondo luogo, si dà per scontato che le Sacre Scritture, così come interpretate dalla Chiesa, indichino una forma corretta di vita piena e santificata. Il secondo assunto può essere rifiutato senza negare che la Bibbia sia assai più ricca di lezioni per l’umanità di qualsiasi cosa la scienza possa produrre. I risultati scientifici e l’ethos scientifico (se esiste) sono fondamenta troppo esili per dare un senso alla vita. Molti scienziati condividono questa opinione. Si trovano d’accordo sul fatto che la qualità della vita si possa definire indipendentemente dalla scienza - che è la prima parte del primo assunto. Ai tempi di Galileo vi era un’istituzione - la Chiesa romana - che soprintendeva a questa qualità nei modi che le erano propri. Dobbiamo concludere che il secondo punto - vale a dire che Copernico fosse «formalmente eretico» - aveva a che fare con idee di cui c’è molto bisogno oggi. La Chiesa era sulla strada giusta. Ma si sbagliava, forse, rifiutando opinioni scientifiche in contrasto con la sua idea di Buona Vita? Ho sostenuto che la conoscenza ha bisogno di una pluralità di idee, che anche le teorie più radicate non sono mai così forti da determinare la scomparsa di metodi alternativi, e che la difesa di queste alternative (quasi l’unico modo di scoprire gli errori presenti in posizioni molto rispettate) è necessaria anche da parte di una filosofia limitata come l’empirismo. Se essa risultasse necessaria anche per ragioni etiche, allora avremmo una ragione in più, anziché un conflitto con la «scienza». Inoltre la Chiesa era assai più moderata. Non diceva: quel che è in contraddizione con la Bibbia interpretata da noi deve scomparire, per quanto siano forti le ragioni scientifiche in suo favore. Una verità sostenuta da un ragionamento scientifico non era respinta. Era usata per rivedere l’interpretazione di passi della Bibbia apparentemente incoerenti con essa. Molti passi biblici sembrano suggerire che la Terra sia piatta. Tuttavia la Chiesa ha accettato senza problemi che la Terra sia sferica. Dall’altro lato la Chiesa non era pronta a cambiare solo perché qualcuno aveva fornito delle vaghe ipotesi. Voleva prove scientifiche. In questo agì in modo non dissimile dalle istituzioni scientifiche moderne, che di solito aspettano a lungo prima di incorporare nuove idee nei loro programmi. Ma allora non c’era ancora una dimostrazione convincente della dottrina copernicana. Per questo fu consigliato a Galileo di insegnare Copernico come ipotesi; gli fu proibito di insegnarlo come verità. Questa distinzione è sopravvissuta fino a oggi. Ma mentre la Chiesa era preparata ad ammettere che certe teorie potessero essere vere e anche che Copernico potesse avere ragione, se sostenuto da prove adeguate, ci sono ora molti scienziati che considerano tutte le teorie strumenti predittivi e rifiutano le discussioni sulla verità degli assunti. La loro motivazione è che gli strumenti che usano sono così palesemente progettati a fini di calcolo e che i metodi teoretici dipendono in modo così evidente da considerazioni sull’eleganza e sulla facile applicabilità, che una tale generalizzazione sembra ragionevole. Inoltre, le proprietà formali delle «approssimazioni» differiscono spesso da quelle dei principi di base, molte teorie sono primi passi verso un nuovo punto di vista che in un qualche tempo futuro potrebbe renderle approssimazioni, e un’inferenza diretta dalla teoria alla realtà è, pertanto, piuttosto ingenua. Tutto questo era noto agli scienziati del XVI e XVII secolo. (...) Il punto di vista copernicano era interpretato dai più come un modello interessante, nuovo e piuttosto efficiente. La Chiesa chiedeva che Galileo accettasse questa interpretazione. Considerate le difficoltà che quel modello aveva a essere considerato una descrizione della realtà, dobbiamo ammettere che «la logica era dalla parte di... Bellarmino e non dalla parte di Galileo», come scriveva lo storico della scienza e fisico Pierre Duhem. Riassumendo: il giudizio degli esperti della Chiesa era scientificamente corretto e aveva la giusta intenzione sociale, vale a dire proteggere la gente dalle macchinazioni degli specialisti. Voleva proteggere la gente dall’essere corrotta da un’ideologia ristretta che potesse funzionare in ambiti ristretti, ma che fosse incapace di contribuire a una vita armoniosa. Una revisione di quel giudizio potrebbe procurare alla Chiesa qualche amico tra gli scienziati, ma indebolirebbe gravemente la sua funzione di custode di importanti valori umani e superumani.

© Verso (Traduzione di Maria Sepa)

Il Pontefice venuto dalla Baviera che ha guidato per 24 anni la Congregazione per la Fede Nato in Baviera il 16 aprile 1927, Joseph Ratzinger - teologo, docente di dogmatica, arcivescovo di Monaco e poi cardinale dal 1977 - è stato nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio) nel 1981 da Papa Wojtyla. Il 19 aprile 2005 è stato eletto Papa con il nome di Benedetto XVI
L’allievo ribelle di Karl Popper che combattè sul fronte orientale e insegnò filosofia a Berkeley Viennese, Paul K. Feyerabend nacque il 13 gennaio 1924. Ufficiale sul fronte orientale durante la Seconda guerra mondiale, fu ferito alla schiena nella ritirata. Dopo il conflitto studiò storia, sociologia, fisica e filosofia. Alla London School of Economics frequentò le lezioni di Popper. Insegnò filosofia a Berkeley. Morì l’11 febbraio 1994
«Corriere della Sera» del 25 gennaio 2008


Il contesto delle frasi incriminate
Di Antonio Carioti
Il testo del filosofo della scienza Paul Feyerabend pubblicato qui accanto, che il Corriere ha tradotto per la prima volta in lingua italiana, comincia con le parole diventate famose in seguito alla disputa sulla mancata visita del Papa all’Università La Sapienza di Roma. Si tratta delle frasi, favorevoli alla posizione assunta dalla Chiesa del Seicento nei riguardi di Galileo Galilei, che l’allora cardinale Joseph Ratzinger citò in una conferenza del 1990. Gli studiosi contrari all’invito rivolto al Pontefice dal rettore per l’inaugurazione dell’anno accademico hanno richiamato proprio quella citazione dell’epistemologo austriaco, adducendola come prova dell’atteggiamento antiscientifico di Benedetto XVI. In realtà Ratzinger non sposava in pieno la posizione di Feyerabend, ma la utilizzava allo scopo di porre in rilievo i limiti della conoscenza scientifica. Per chiarire meglio la questione, è comunque importante inserire il giudizio di Feyerabend nel suo contesto originario, con gli argomenti da lui adottati per motivare un giudizio così distante dall’opinione corrente. Si tratta di un capitolo, riguardante specificamente il processo a Galileo, della sua opera più nota, Contro il metodo: un capitolo che però non compariva nella prima edizione del saggio, uscita nel 1975 in inglese e nel 1976 in tedesco, poi pubblicata in Italia da Feltrinelli, con una prefazione di Giulio Giorello, nel 1979. Il testo, qui riprodotto in modo pressoché integrale, venne poi inserito nelle successive edizioni tedesca (da cui lo citava Ratzinger) e inglese, mentre l’unica versione di Contro il metodo disponibile per il lettore italiano resta quella tradotta nel 1979, che non lo include. Bisogna considerare peraltro che Feyerabend amava ampliare, integrare e modificare in modo assai rilevante le successive edizioni delle sue opere. Basti pensare che nella versione tedesca questa parte sul processo a Galileo è il quattordicesimo capitolo, mentre in quella inglese è il tredicesimo. Allo stesso modo la seconda edizione tedesca comprende in tutto 19 capitoli (rispetto ai 18 della prima, tradotta anche in italiano), mentre per quanto riguarda le edizioni inglesi, la seconda include 21 capitoli e la terza 20.
«Corriere della Sera» del 25 gennaio 2008

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