di Giovanni Belardelli
Per cinquant’anni la Democrazia cristiana ha saputo attrarre a sé e depurare «tutto quello che di peggio era sedimentato nelle pieghe più oscure e più riposte della società nazionale». Questa descrizione della funzione svolta dalla Dc nell’Italia repubblicana si deve a uno studioso autorevole, Mario G. Rossi, in un saggio pubblicato su «Italia contemporanea», la rivista dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia da lui diretta. Era prevalentemente per la Dc, osserva Rossi, che votava quell’ampia parte del Paese che era attraversata da pulsioni clerico-fasciste e qualunquiste, da spinte populiste e antistataliste, da comportamenti familisti e corporativi, da una radicata propensione all’illegalità. Come commenta un giovane studioso (Andrea Rossi nel suo blog «orientamenti storici»), la Dc finisce così con l’essere descritta come una specie di cassonetto della nazione; per dire ancora meglio, il partito cattolico - secondo il quadro offerto dal direttore di «Italia contemporanea» - avrebbe svolto una funzione positiva, sì, ma alla stregua di un gigantesco impianto di riciclaggio in grado di rendere politicamente inoffensivi milioni di italiane e italiani altrimenti pericolosi, perché poco o punto compatibili con la democrazia e con lo Stato di diritto. Tanti mali della Seconda Repubblica, secondo Mario G. Rossi, deriverebbero proprio da qui, dal fatto che - scomparsi gli «spazzini» Dc - i liquami di quell’Italia eternamente e strutturalmente antidemocratica, egoista e non amante della legalità avrebbero tracimato dappertutto, alimentando la forza politica dell’attuale centrodestra. Non c’è che dire, un quadro davvero approfondito ed equanime della nostra storia più recente.
«Corriere della sera» del 12 gennaio 2008
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